Nel giorno 211 della guerra in Ucraina, torna d’attualità la celebre frase di Winston Churchill sulla Russia, adattata al suo attuale presidente. “Putin è un rebus avvolto in un mistero che sta dentro a un enigma”. Non si può definire altrimenti l’imperscrutabile linea assunta dal capo del Cremlino nelle ultime ore della crisi ucraina.
Prima è arrivata la forzatura sui referendum per l’annessione alla Federazione delle regioni occupate militarmente, che dovrebbero essere avviati a breve in modo totalmente irregolare. Poi l’annuncio della “mobilitazione parziale”, che parziale non appare. Quindi al tramonto del giorno in cui Putin ha minacciato l'“l’Occidente collettivo” con il potenziale ricorso all’arma nucleare, sottolineando che non è un bluff, lui stesso ha dato luce verde a un impensabile scambio di prigionieri con il quale è stato liberato anche Denys Prokopenko.
La sorpresa è stata totale per tutti coloro che non erano a conoscenza dell’operazione, propiziata a quando pare, dalla mediazione di Turchia e Arabia Saudita. Sul fatto che a lasciare il carcere fossero il leader del reggimento Azov, noto come comandante “Redis”, e il suo vice, Svyatoslav Palamar "Kalina", che per settimane hanno difeso l'acciaieria Azovstal di Mariupol, nessuno avrebbe scommesso un centesimo. Prokopenko e i suoi sono stati dipinti da Mosca come la personificazione del nazismo ucraino, i peggiori nemici della Federazione, criminali senza scrupoli. Un ritratto ovviamente falso, anche se il ministro degli Esteri Lavrov ha ribadito che l’Ucraina è diventato un Paese totalitario nazista.
Qual è allora il filo che lega le decisioni russe delle ultime 48 ore? Non c’è una chiara logica politica che sembra unirle. Soprattutto alla luce della reazione dei principali “alleati” del Cremlino. Pechino è tornata a ribadire che la situazione in Ucraina “mostra un trend in espansione e di lungo termine, con effetti di contagio negativi sempre più gravi che la parte cinese non vuole vedere: le priorità sono il cessate il fuoco e la fine della guerra”. Se Xi Jinping continua il suo “distanziamento” dall’operazione militare di Mosca, Putin rischia davvero di restare isolato sul piano internazionale.
L’escalation che ha messo in moto sembra un azzardo senza un piano di riserva, un tentativo di sovvertire l’inerzia negativa della guerra accettando rischi altissimi. Secondo la “Novaya Gazeta”, il piano comporta il richiamo di un milione di riservisti e non di 300mila. Il Cremlino ha negato, ma intanto le piazze delle metropoli del Paese si riempiono di giovani che protestano. Mentre le forze speciali reprimono le manifestazioni, migliaia di altri cittadini più facoltosi lasciano o cercano di lasciare il Paese per evitare la leva o per sfuggire a una situazione che giudicano in forte peggioramento.
Il ripetuto avvertimento all’Europa e agli Stati Uniti sul potenziale uso di ordigni atomici crea una reazione compatta, che comprende persino la Corea del Nord, affrettatasi a smentire la volontà di cedere armamenti a Mosca. Il ricorso a un’offensiva nucleare contro l’Ucraina, per fermare la sua riconquista di territori, significherebbe superare una linea rossa che da Hiroshima e Nagasaki non è mai stata più violata. Anche colpire un bersaglio simbolico, senza provocare un eccidio di civili come accadde in Giappone durante la Seconda guerra mondiale, renderebbe la Russia uno Stato paria che, con questi vertici al potere, non potrebbe più ambire ad alcuna normale relazione politica ed economica.
L’unica interpretazione razionale è che quindi il Cremlino speri che l’accelerazione sul campo e la spettro atomico (ribadito anche da Medvedev) provochino qualche crepa nel fronte pro-Kiev – visto che gli altri tentativi, a partire dal ricatto sul gas, non sono andati a buon fine – e di conseguenza la capacità militare ucraina si indebolisca, permettendo all’esercito della Federazione di consolidare il suo controllo sulle regioni contese.
Ma se le cose non andranno in questo modo (Berlino si è detta pronta ad accogliere i disertori) e le truppe di Zelensky avanzassero ancora (i riservisti arriveranno al fronte in massa fra alcuni mesi), sostenute compattamente da Usa e Ue, Putin si troverebbe senza alternative. Ovviamente, la Russia potrà prolungare il conflitto per quanto possibile e l’uomo forte del Cremlino, sapendo che il suo potere interno non è in pericolo, potrebbe ridimensionare i suoi obiettivi di conquista pur di non essere travolto dalle sanzioni e da una disfatta sul campo.
Resta però l’interrogativo sulla strategia misteriosa che sta dietro ad alcune scelte, un’imperscrutabilità che rimette in dubbio le ricostruzioni lineari e “razionali” della sfida in corso. Perché proprio in questo momento liberare 215 prigionieri nemici – tra cui il famigerato comandante di Azov – per riavere l’oligarca ucraino filorusso Viktor Medvedchuk insieme ad altri 55 combattenti russi finiti nelle mani di Kiev? La lettura di Churchill resta attuale e non può lasciare tranquillo nessuno.