mercoledì 19 marzo 2025
Padre Gabriel Romanelli racconta la nuova offensiva di Israele sulla Striscia. «Non c'è nessun luogo sicuro, eppure restano tutti qui con noi». Il grazie a Francesco: ci dà speranza tra le macerie
Padre Romanelli

Padre Romanelli - .

COMMENTA E CONDIVIDI

«Ci ha svegliato il tonfo delle bombe. Non lo sentivamo da due mesi. Ma il rumore è inconfondibile. Siamo balzati in allerta. Alcuni ordigni sono caduti molto vicini, a circa trecento metri. Grazie a Dio, stiamo bene. Non siamo stati colpiti nemmeno dalle schegge. Ma la gente è sgomenta. Ci giungono notizie di operazioni ovunque, centinaia di morti, un migliaio di feriti. Nessuno sa quello che accadrà. Non vogliamo nemmeno pensare alla ripresa della guerra... ».

Nella concitazione generale, la voce di padre Gabriel Romanelli resta pacata. È fondamentale per cercare di alleviale l’angoscia della comunità. Cinquecento cristiani, cattolici e ortodossi, diverse decine di disabili, anziani e bambini, assistiti dalle suore di Madre Teresa che, ammassati, ormai da diciassette mesi, nel complesso della parrocchia della Sacra Famiglia di Gaza City. Nelle ultime otto settimane di “silenzio” delle armi, una ventina di famiglie aveva cercato di tornare ai propri villaggi, sistemandosi in quello che era rimasto della propria dimora o da parenti. Ora, però, tanti si sono affrettati a tornare alla chiesa. «Si sentono più protetti qui, anche se non c’è alcun luogo sicuro nell’enclave. Ma questa è ormai la loro casa – dice ad Avvenire il sacerdote del Verbo Incarnato, in uno spagnolo dall’inconfondibile accento argentino –. E quando si ha paura, si va a casa».

La gente ne ha tanta: ieri è stato un giorno lungo per la Striscia. Il più lungo dal 19 gennaio. E, addirittura, il più cruento dal novembre 2023: almeno 404, secondo i dati del ministero della Sanità, controllato da Hamas. «Per placare l’ansia, nella parrocchia, cerchiamo di tenere le persone occupate, soprattutto giovani e bimbi». Nella pagina Facebook, che la Sacra Famiglia utilizza per comunicare con il mondo, scatti e video narrano la vita quotidiana degli sfollati, tra gruppi di cucito, maglia e creazione di piccoli oggetti con il poco disponibile. Gli aiuti del Patriarcato di Gerusalemme, hanno, però, consentito di andare avanti e di supportare i civili della zona.

Padre Gabriel si è inventato perfino una scuola per i ragazzi della parrocchia. Ieri, però, non c’è stata lezione. «A causa della situazione. Erano troppo scossi». Eppure, anche in questo momento di nuova difficoltà come nel precedente anno e mezzo, il “piccolo gregge” della Sacra Famiglia riesce a non cedere alla disperazione. «Grazie alla preghiera costante. E alla vicinanza di papa Francesco. Non posso descrivere con le parole quanto sia importante il suo sostegno continuo. È la nostra principale fonte di consolazione. Anche durante la prova della malattia, ci ha chiamato dal Gemelli. È stato bello sentire la sua voce: nella sofferenza, ha pensato a noi. La gente qui lo considera un amico. Preghiamo per lui, per il suo pieno recupero, ogni giorno».

Un affetto più volte manifestato. Appena qualche settimana fa, il sacerdote e i fedeli hanno voluto inviargli, sempre via Facebook, un filmato di auguri per una pronta guarigione. «Shukra, shukran», cioè grazie, in arabo, ripetono. «La preghiera ci unisce, scavalcando ogni muro. Lui prega per noi, noi per lui e insieme preghiamo per la pace. Non Che questo frammento di Terra Santa, come tutta la Palestina e Israele possano finalmente vivere in pace».

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: