martedì 18 marzo 2025
Le parole dei sopravvissuti al bombardamento della notte. La poetessa Zeyad: preso di mira un appartamento, ma erano tutti civili. Distrutta la sede della polizia, morti 50 detenuti comuni
I corpi di alcune vittime dei bombardamenti israeliani su Gaza vengono trasportate fuori dall'ospedale Al-Ahli Arab su un carro per i funerali

I corpi di alcune vittime dei bombardamenti israeliani su Gaza vengono trasportate fuori dall'ospedale Al-Ahli Arab su un carro per i funerali - ANSA

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«Meno di 300 metri, il colpo è caduto vicino a me. Alle due e mezzo di stanotte alcuni ragazzi cercavano martelli, scalpelli, qualsiasi cosa. Gridavano che qualcuno era ancora vivo sotto le macerie, ma non avevano attrezzature di soccorso da usare». Fedaa Zeyad, poetessa e scrittrice palestinese, racconta ad Avvenire della nuova ondata di distruzione che si è abbattuta dalla notte scorsa sul suo quartiere a Gaza City, tra «terrore, oscurità mortale, luci dei telefoni e boati continui delle esplosioni». All’alba un giovane si è presentato vicino alla sua finestra. «Aveva i vestiti impolverati, e mi ha detto: “Abbiamo continuato a provarci dalle due fino alle quattro, ma alla fine (il sopravvissuto, ndr) è morto”».

A venire preso di mira nelle vicinanze è stato un appartamento residenziale. Le chiediamo se ci vivessero miliziani di Hamas. «Quelli erano tutti civili», risponde la donna che poi riferisce di un raid sul quartier generale della polizia della città, «dove c’erano circa 50 detenuti per reati minori e finanziari, tutti uccisi».

Mentre le speranze della tregua si sgretolavano insieme ai muri degli edifici centrati dai nuovi attacchi israeliani, stanotte poco prima delle tre sono arrivate su Messenger le parole disperate di Ikhlas Abu Riash, giovane madre del Nord di Gaza. «Udiamo rumori spaventosi di bombardamenti, di fuoco e di ambulanze. Speravamo di vivere in pace e che la calma continuasse. Ma la guerra è tornata, ancora più terribile. Le case vengono demolite sulle teste di bambini e donne innocenti. Israele afferma di aver lanciato raid nelle aree in cui si trovano le armi di Hamas. Ma non tutto ciò che dice Israele è vero, sono bugie». Da tempo la donna è rimasta sola con il figlio di poco più di due anni. «Stava dormendo, si è svegliato di soprassalto nel sonno e ha detto: "Mamma, sparano". Si è seduto sulle mie ginocchia. Il suo corpo non ha più smesso di tremare». Per lei la ripresa della guerra significa non solo tornare a rischiare la vita, ma anche perdere ogni speranza di rivedere presto suo marito, fermato e arrestato mesi fa mentre con Ikhlas e altri civili lasciava Jabalia. La donna ha poi trovato il nome del suo sposo in una lista di prigionieri, e ad ogni rilascio di palestinesi dalle carceri israeliane aveva sperato che fosse liberato anche lui.

Invia foto di bagagli pronti, scatole di cartone appena richiuse e materassini impilati, Reem Hamad, la giovane professoressa di inglese di Beit Hanoun che aveva già raccontato ad Avvenire i suoi mesi da sfollata quando viveva a Deir al-Balah. «Dopo un nuovo ordine di evacuazione, stiamo per lasciare il nord, in questa occasione diretti a Gaza ovest. I bombardamenti ci circondano da tutte le parti e non sappiamo se sopravvivremo questa volta oppure no», ci ha scritto questa mattina.

«È stata una notte dura. Tutto è esploso all'improvviso, senza alcun preavviso, la mia casa ha tremato per i colpi», ci informa il dottor Mohamed Abu Shawish, psicoterapeuta dell'Al Aqsa Martyrs Hospital di Deir Al-Balah. Si trova invece a Jabalia il professore Maher Jouda, dell’Università Al-Quds. «Siamo ancora a casa nostra», scrive. «Stanotte eravamo svegli all’avvio dei bombardamenti, perché nel periodo del Ramadan di solito andiamo a dormire tardi. Gli attacchi sono cominciati all'1.30».

«Siamo così addolorati che il cessate il fuoco sia saltato», commenta in una serie di messaggi dal quartiere di Al-Rimal, a Gaza City, Mira Al-Halabi, studentessa di ingegneria informatica all'Università Al-Azhar. «Ci siamo svegliati stanotte per il boato del fuoco dei colpi. Li sentiamo ancora, di tanto in tanto. La mia famiglia e io non ci muoviamo per ora, non siamo così vicini ai bombardamenti, ma in fondo Gaza è piccola e l’intensità delle deflagrazioni è elevata». Le dà ragione Zakaria Bakr, pescatore dell'Unione generale dei lavoratori della pesca e dei marittimi della Striscia. «Non c’è un posto a Gaza che sia davvero lontano dalle esplosioni».

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