Kiev, Mosca, i piani per la vittoria: ma l'Europa dov'è?
giovedì 29 agosto 2024

Un piano per la vittoria può sembrare a questo punto del conflitto non solo ambizioso, come ha ammesso lo stesso presidente Volodymyr Zelensky, ma anche irrealistico e tracotante. Eppure, il leader ucraino è pronto a sottoporlo a Joe Biden e ai due candidati per il prossimo quadriennio alla Casa Bianca, Kamala Harris e Donald Trump. La domanda forse ingenua è se non si poteva predisporre prima una strategia capace di abbreviare la guerra (giunta al suo 918esimo giorno) e di porre fine alle sofferenze della popolazione civile e ai massacri sulla prima linea dei combattimenti. Ovviamente, “piano per la vittoria” è un’iperbole per dare enfasi alle richieste di Kiev ai propri alleati in uno snodo importante della contesa bellica con Mosca (che, nelle intenzioni, potrebbe poi finire con un accordo). Le campagne di bombardamenti russi sulle infrastrutture civili e industriali rischiano di provocare un inverno da incubo e costringere così un’altra fetta della popolazione a cercare rifugio all’estero. Per dare un’idea della potenza di fuoco impiegata, nelle ultime 48 ore tutte le centrali idroelettriche del Paese sono state colpite con la conseguente perdita di circa il 40% della produzione. Negli scorsi mesi veniva colpita la rete di distribuzione, che si può riparare in tempi relativamente brevi, mentre rendere inutilizzabili gli impianti stessi provoca un danno difficilmente rimediabile se non con una vera ricostruzione. Zelensky chiede dunque di avere più batterie di missili Patriot per difendere il suo territorio dalla pioggia di missili e droni. Ma è anche consapevole che non basta aprire un ombrello sui cieli per evitare il tracollo.

Le truppe dell’Armata di invasione avanzano a Est e minacciano di sfondare nel Donetsk con l’obiettivo di conquistare definitivamente l’intero Donbass. La controffensiva nella regione russa di Kursk, avviata all’inizio di agosto, costituisce pertanto il tentativo di invertire la tendenza nel conflitto e spingere il Cremlino a spostare truppe e mezzi per tamponare lo sconfinamento delle forze ucraine. Qui entrano in gioco il ruolo degli alleati e le nuove proposte del governo di Kiev. Il timore di un’ulteriore escalation è ciò che frena la coalizione pro-Ucraina ad autorizzare l’uso offensivo delle armi a più lunga gittata – sebbene la distinzione nell’utilizzo sia piuttosto sottile e forse anche ipocrita da parte di chi le concede e cerca di salvare la propria “estraneità” al conflitto.

Da parte ucraina, invece, si vede la possibilità di colpire in profondità alcuni gangli vitali del sistema militare del nemico, riducendo la pressione bellica di Mosca. Ciò implica il via libera a bersagliare in profondità con i vettori americani ed europei, e con ulteriori caccia F-16, che l’Ucraina reclama a gran voce. Abbinata a questa fase di combattimento, il piano vedrebbe quindi una fase negoziale più favorevole al Paese aggredito.

La Commissione Ue ha approvato l’azione nel Kursk, mentre alcuni Paesi, tra cui l’Italia, hanno manifestato perplessità. Le dichiarazioni della diplomazia sono importanti, ma poi contano le scelte operative, meno visibili dall’opinione pubblica. E quello che rimane sottotraccia è la lentezza nell’implementare le promesse di forniture di armi, anche quelle puramente difensive come i sistemi antimissile. Kiev prova a fare da sola con l’annuncio di un’arma balistica (cioè, che vola in parte fuori dall’atmosfera terrestre) Made in Ukraine, ma non potrà ottenere risultati significativi senza il sostegno occidentale costante. Putin non ha fretta o forse sì (i suoi piani sono in gran parte imperscrutabili sebbene le sue idee e i suoi progetti avrebbero dovuto essere chiari da tempo per gli analisti e le cancellerie – si veda l’affascinante resa romanzesca fatta da Giuliano Da Empoli in “Il mago del Cremlino”). In ogni caso, la superiorità della Russia è nei fatti.

Se l’Amministrazione Usa può essere frenata dalla campagna per il voto del 5 novembre in cui il tema della guerra è delicato e va gestito con circospezione davanti a elettori in maggioranza poco interessati alle sorti della disfida nel cuore dell’Europa, il Vecchio Continente è chiamato a fare subito uno sforzo di realismo e di impegno per una soluzione al conflitto. Ieri la Nato ha ribadito la volontà di aumentare gli aiuti a Kiev, ma il cambio di passo spetta ai singoli Stati membri. Vogliamo lasciare l’Ucraina sotto le bombe garantendo quel minimo di sostegno bellico e umanitario che ne impedisca il collasso, senza però dare l’opportunità di uno sbocco positivo nel timore di una risposta russa? Non dovremmo allora insistere per una soluzione politica giusta e sostenibile, attraverso iniziative nella direzione dei tentativi di pace che timidamente si affacciano, come quello proposto dall’India? Sono domande che hanno bisogno di risposte urgenti, seppure nei prossimi giorni un breve rallentamento nelle operazioni rimanderà la guerra in basso nelle scalette dei mass media. Può anche non parlarsene in pubblico, in Ucraina, però, una nazione ogni giorno viene progressivamente demolita e (anche in Russia) si continua a morire.


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