venerdì 31 gennaio 2014
Scenari preoccupanti con la crescita della Marina nipponica.
di Luca Miele
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Qualcuno lo ha definito il "De Gasperi giapponese". A lui, il primo ministro Yoshida Shigeru, il Giappone – un Paese prima infettato da un nazionalismo senza freni, poi devastato dalla Seconda guerra mondiale – si affidò per l’immane opera di ricostruzione. Sotto l’ombrello della cosiddetta "dottrina Yoshida", il Sol Levante si risollevò fino al successo economico-commerciale che impressionò il mondo negli anni Ottanta. Il cardine su cui ruotava l’intera architettura del "nuovo" Giappone? L’antimilitarismo, sancito dall’articolo nove della Costituzione, che affidava alle forze giapponesi il solo compito dell’auto-difesa. Ebbene, a distanza di oltre mezzo secolo, il Giappone è deciso a voltare definitivamente pagina. E a congedare il suo volto più pacifico (e tranquillizzante). Sfibrato dalla frenata economica, messo in ginocchio dallo tsunami che ne ha rivelato la duplice fragilità strutturale (geografica ed energetica), infiacchito dalla decrescita demografica (c’è chi parla di rischio estinzione), il Sol Levante sembra sempre più tentato dalla strada opposta: mostrare i muscoli. Una svolta nutrita da quella che è ormai diventata una vera ossessione. Alimentata dallo "strapotere" cinese. E i dati non rassicurano di certo.
Basta dare un’occhiata all’andamento demografico dei due rivali. Il Giappone "deperisce", la Cina "giganteggia". Tokyo conta oggi 127,6 milioni di abitanti, Pechino 1,3 miliardi. Il sismografo politico tra i due Paesi – i cui rapporti peraltro sono sempre stati altalenanti – sta registrando continue scosse. La Cina unilateralmente istituisce – siamo alla fine dello scorso anno – la zona di difesa aerea sulle Senkaku, le ormai famigerate isole contese, il Giappone reagisce annunciando che quel divieto di transito sarà bellamente ignorato. Il primo ministro giapponese Shinzo Abe visita lo Yasukuni Shrine, il "santuario della pace nazionale" dedicato ai soldati morti combattendo al servizio dell’Imperatore. La mossa scatena l’immediata reazione della Cina: per Pechino quelli che vengono venerati nel tempio scintoista non sono altro che criminali. Una guerra dei nervi che (per ora) viaggia solo sul filo delle parole. Il quotidiano giapponese Mainichi ha profetizzato come imminente la guerra tra i due giganti asiatici. Il motivo che la scatenerebbe? Per l’autore dell’analisi, Takao Toshikawa, tutto dipende dall’economia (traballante) della Cina. «La situazione economica del Paese – scrive – è pericolosa. Ed è destinata a peggiorare. La bolla immobiliare potrebbe scoppiare e trascinare in un crollo vertiginoso l’intera economia. Stesso discorso per le disparità tra le regioni costiere e l’interno che continuano ad allargarsi». Pechino, secondo l’analista, vuole tappare i buchi cercando una valvola di sfogo all’esterno.
Una strategia vecchia, ma sempre pericolosa. Una fonte diplomatica, citata dal Japan Times, materializza l’incubo peggiore dei giapponesi: che «i cinesi possano simulare un incidente sulle isole contese e scatenare un conflitto regionale». Sul Shukan Asahi Geino, un altro noto analista, Osamu Eya, ha svelato la vulnerabilità del Sol Levante: «Il Giappone dipende, per quanto riguarda il petrolio e le altre risorse naturali, dal trasporto via mare. Se la Cina dovesse bloccare quelle vie, per noi si aprirebbe uno scenario catastrofico». E un reportage del Time, intitolato significativamente Il ritorno dei samurai, ha raccolta la confidenza di un politico giapponese: «Tra dieci, venti o trent’anni il potere americano declinerà». Tokyo, insomma, dovrà fare da sola.
Quello che appare ormai chiaro è che il Giappone vuole ridisegnare il suo ruolo nello scacchiere asiatico. Lo ha detto chiaro e tondo il premier Abe in occasione del messaggio di Capodanno alla Nazione. Nel mirino, neanche a dirlo, c’è l’articolo 9 della Costituzione che sancisce la «rinuncia per sempre alla guerra» e all’uso della «forza come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali». Una svolta che passa, da un lato, da un rafforzamento della storica alleanza con gli Usa, come dimostra il recente accordo sulla base nell’isola di Okinawa. Dall’altro, dal moltiplicare il proprio potere di dissuasione militare in funzione anti-Cina (e anti-Corea del Nord). La "Strategia nazionale sulla sicurezza", licenziata a dicembre dello scorso anno, testimonia i passi in avanti in questa direzione. Il governo ha deciso di aumentare del 5% le spese militari nei prossimi cinque anni per dotare le Forze di Autodifesa di equipaggiamenti "mirati" alla tutela dei territori lontani, stanziando 24.670 miliardi di yen (175 miliardi di euro) tra il 2014 e il 2019.
Nel programma, che fissa più stretti legami con Usa, Corea del Sud, Australia, India, Ue e Paesi dell’Asean, si apre alla revisione dei termini sull’export di armi. E si menzionano acquisti di droni, aerei a decollo verticale, mezzi anfibi, missili, elicotteri da trasporto truppe, caccia F35A, sottomarini e distruttori con tecnologia Aegis per assicurare il controllo delle oltre 6.800 isole dell’arcipelago nipponico, includendo anche le più remote. Non è un caso, allora, che proprio a causa della sua conformazione geografica Tokyo punti molto sulle navi.La marina giapponese è oggi una delle più numerose e attrezzate al mondo, con circa 50 grandi unità da combattimento, navi anfibie e una divisione di marines. Un potenziamento, che come si legge sul sito del Centro studi internazionale (Cesi), «ha il placet degli americani, che oltre ad essere i principali fornitori di armamenti, preferirebbero una più equa redistribuzione dei compiti tramite l’affermazione di un alleato forte nello scenario asiatico, capace di bilanciare l’ascesa cinese e le minacce nordcoreane». Non c’è, infatti, solo la Cina.
L’altro spettro che tormenta i giapponesi si chiama proprio Corea del Nord. Anche qui le minacce (atomiche), costantemente agitate dall’ultimo e più giovane dei Kim, sta spingendo il Paese ad attrezzarsi. Kim Jong-un continua a giocare la partita che fu di suo padre: muoversi sullo spazio stretto tra le minacce e il desiderio di incassare. Un "cavallo pazzo" – come dimostrano le recenti epurazioni avvenute senza il consenso di Pechino – che neanche la Cina riuscirebbe più a tenere a freno. Tokyo, però, non vuole stare più con le braccia conserte. Come annunciato dal ministero della Difesa, il Sol Levante vuole acquisire dei sistemi missilistici offensivi da utilizzati per prevenire un eventuale attacco nordcoreano. Di nuovo è la strategia che cambia. Non subire, ma prevenire. Non attendere, ma anticipare.
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