I giorni da metà ottobre a oggi, per la Calabria e per i suoi quasi due milioni di cittadini sono stati finora una sorta di mensis horribilis. Prima la scomparsa della governatrice Jole Santelli, col timone della Regione affidato in emergenza al vicepresidente della Giunta Nino Spirlì. Poi l’incalzare della pandemia, con l’aumento della pressione sui già deficitari ospedali locali e la decisione del Governo di indire la “zona rossa”. Quindi la surreale tarantella dei commissari alla Sanità, con due dimissioni e una rinuncia nel giro di pochi giorni, condite da lazzi e frizzi sui social e sommate al valzer dell’indecisione del Governo sui compiti da affidare al “medico delle emergenze” Gino Strada. E la partita non è neppure chiusa, visto che l’incarico commissariale non è stato finora assegnato.
A un tale caos, si somma ora lo sgomento per le ricostruzioni emerse dall’inchiesta “Farmabusiness” della procura di Catanzaro, che ha visto finire agli arresti, con altri 18 indagati, il presidente del Consiglio regionale Domenico Tallini, esponente di Forza Italia, accusato di concorso esterno e scambio elettorale politico–mafioso. QUI TUTTI GLI AGGIORNAMENTI SULLA VICENDA. Ferma restando la presunzione di innocenza fino al terzo grado di giudizio, valevole per Tallini come per chiunque, lo spaccato dell’inchiesta conferma gli appetiti delle cosche sul settore sanitario in una Regione gravata dalla zavorra criminale della ‘ndrangheta e rappresenta quasi un’epitome del voto di scambio. In una delle conversazioni intercettate con un presunto «portatore di voti, ndranghetista fino al midollo », ragionando su un affare nel settore farmaceutico, Tallini avrebbe detto esplicitamente durante un’intercettazione: «L’investimento è per voi… mica lo facciamo per noi… no?».
In attesa che le sentenze avvalorino o meno la tesi accusatoria, la vicenda pone comunque per l’ennesima volta l’urgenza di una selezione della classe politica e dirigenziale, in una Regione che della mala gestio della cosa pubblica, sanità in primis, ha fatto purtroppo una triste regola. Per restare a Tallini, prima delle recenti elezioni regionali la Commissione parlamentare antimafia aveva incluso il suo nome fra gli “impresentabili”, perché imputato in un processo per presunta corruzione. Eppure, quell’ allarme è suonato invano: Tallini è stato candidato e in sovrappiù, dopo l’elezione, indicato da Fi e votato dalla maggioranza per presiedere il Consiglio regionale.
Così, adesso, la Calabria già orfana della presidente eletta si trova anche senza il numero uno dell’assemblea regionale. E appare sempre più come un vascello sballottato dai marosi, ma senza timonieri a bordo in grado di schivare il fortunale. Un esempio su tutti: a Crotone l’ospedale civico è talmente in crisi che, dopo la positività di diversi medici, alcuni malati di coronavirus sarebbero finiti nei reparti “normali”, rischiando di accrescere l’epidemia.
Come se ne esce? «E lo Stato che fa? Si costerna, s’indigna, s’impegna, poi getta la spugna con gran dignità», cantava Fabrizio De André, suggerendo come spesso l’indignazione, che oggi tracima dai giornali e dal web, finisca per essere pratica sterile, se non grottesca, se non arrivano i fatti. Quali fatti? Intanto, il Governo dovrebbe nominare subito un commissario alla Sanità all’altezza, senza ulteriori indugi o scivoloni, nella consapevolezza che per traghettare la Regione oltre l’emergenza non basterà un uomo, foss’anche dotato di superpoteri, se non affiancato da risorse e da una struttura amministrativa di funzionari onesti ed efficienti, nelle piccole spese come nei maxi appalti. «Vogliamo essere parte dello Stato e che in Calabria ci sia una sanità normale», chiedono al premier Conte i sindaci calabresi giunti a Roma per protestare. Se lo vogliono davvero, e non ne dubitiamo, allora comincino a spazzare nei propri cortili, dove talvolta per lo Stato non è semplice entrare. In una Regione che detiene l’amaro record di amministrazioni locali sciolte per mafia, occorre infatti che partiti, movimenti e liste civiche facciano una volta per tutte pulizia al proprio interno, scegliendo candidati e dirigenti per le loro competenze e per la reputazione specchiata. Spesso non occorre un’inchiesta giudiziaria, in Comuni di qualche migliaio di abitanti, per separare il grano dal loglio, le persone perbene dagli ambigui “amici degli amici”. Il banco di prova, l’ennesimo, è vicino. A febbraio, salvo rinvii per la pandemia, si dovrebbe andare di nuovo alle urne per eleggere i vertici della Regione. Se i partiti, di qualunque segno e colore, sapranno formare bene e con trasparenza le proprie liste, forse allora il primo mattone per una vera rinascita politica, amministrativa e sociale della Calabria potrà essere posto.