La morte di Willy Monteiro ha riempito noi genitori di orrore, per la violenza di cui è stato vittima. Ma anche di paura. Pensiamo ai nostri figli, a quando escono la sera per andare con i loro amici. Ci domandiamo se anche loro potrebbero trovarsi coinvolti in qualcosa di simile. In fin dei conti, se siamo buoni genitori, li dovremmo aver educati a comportarsi proprio come Willy. Ovvero a intervenire nel caso in cui un loro amico si trovi in difficoltà, a mostrare empatia nei confronti di chi soffre, a fermare ogni azione di violenza. In questi giorni ho sentito molti genitori consigliare ai propri figli: «Tu non fare come Willy. Se ti accorgi, mentre sei fuori, che qualcuno si sta mettendo nei pasticci, tu scappa via e molla tutto».
È comprensibile questa reazione. Ma, dal punto di vista educativo, è anche la più sbagliata. Noi educatori, infatti, dobbiamo contribuire a riempire il mondo di belle persone, come Willy sapeva essere. Se disattiviamo nei nostri figli quella naturale ed empatica spinta a fare ciò che è bene e ciò che è giusto, se insegniamo loro che la strada del coraggio è troppo pericolosa e quindi conviene rimanere riparati nel territorio della paura, succederà che quelli come i fratelli Bianchi si prenderanno – sempre più – il controllo del territorio. Porteranno la loro violenza tossica, la loro criminale potenza bullista al centro di ogni piazza e si sentiranno i 're del mondo'. Ma se ogni ragazzo sa fare quello che ha fatto Willy, i bulli si troveranno soli e isolati.
Quelli impauriti diventeranno loro. Viviamo in un mondo che, almeno in parte, esalta la violenza tossica, che induce i nostri figli maschi a credere che si diventa potenti e popolari quando si coltiva la forza dei muscoli e non quella della mente. Perché, alla fine, vince chi fa fuori l’altro. E perché la prepotenza è molto più vantaggiosa della competenza. È proprio per questo che oggi piangiamo un ragazzo come Willy, che tutti descrivono come un giovane uomo, promettente e pieno di bellezza. Attendiamo che la giustizia insegni con una punizione magistrale ai fratelli Bianchi e ai loro complici che la loro violenza criminale e stupida, alla fine, li ha fatti finire nell’unico posto in cui potranno comprendere il disastro di cui si sono resi colpevoli.
Però, noi tutti non smettiamo mai di dire ai nostri figli, quando escono di casa: «Sii come Willy. Fai come lui e aiuta i tuoi amici a fare altrettanto». Altrimenti muore ogni speranza. E l’educazione diventa solo un miraggio irraggiungibile. Certo, chi controlla il rispetto della legge nei nostri paesi e nelle nostre città, deve aiutare noi genitori a dare senso al nostro progetto educativo. Perché altrimenti la frase «Sii come Willy» rischia di diventare un’incitazione al martirio.
Che poi è esattamente quello che è successo a lui. Forse molti genitori ed educatori, di fronte a queste parole si sentono provocati. Io preferirei che tutti insieme, noi adulti, ci sentissimo interpellati, perché siamo proprio noi – genitori, educatori, docenti, sacerdoti, allenatori sportivi – che dobbiamo continuare a far tenere alto lo sguardo ai nostri ragazzi e ragazze, ai nostri figli, ai nostri studenti. Mi auguro anch’io che la storia di Willy Monteiro arrivi sui banchi di tutte le classi di scuola secondaria, in questo inizio di anno scolastico. E che permetta a tutti i nostri figli, di sentire che nelle loro scuole, nelle loro città, nei loro gruppi di amici ci devono essere non uno, ma dieci, cento, mille Willy.
Medico e psicoterapeuta