Si può provare a ragionare di una «tassa di scopo»?
mercoledì 14 aprile 2021

Su queste pagine, Francesco Gesualdi ha dato il giusto rilievo alle parole di Janet Yellen, segretario al tesoro Usa, circa l’esigenza di contrastare le insostenibili disuguaglianze, semmai acuite dalla pandemia, anche attraverso la leva fiscale. A seguire, si è levata la voce di Vitor Gaspar, responsabile degli affari fiscali del Fondo monetario internazionale (non un organismo benefico): «Le autorità politiche potrebbero considerare un contributo per la ripresa dal Covid-19, imposto sui redditi alti o i grandi patrimoni». A cominciare dalle società che, dentro la pandemia, hanno registrato un’impennata degli utili. Da Amazon alle Big Pharma.

Forse è tempo di sfidare un dogma e un tabù. Il dogma è quello che figura negli annunci di quasi tutti i politici: la riduzione generalizzata della pressione fiscale. Il tabù è quello condensato nella parola impronunciabile 'patrimoniale'. Ma rassicuro subito il lettore: non mi occupo di questo. Né della pur ragionevole esigenza da tutti avanzata di una organica riforma fiscale. Il premier Draghi vi ha fatto cenno nel suo discorso alle Camere per la fiducia con poche e appropriate parole evocando il criterio della progressività. Quasi un’ovvietà, essendo esso scolpito in Costituzione. Ma non di questi tempi ove c’è ancora chi propone la 'tassa piatta', cioè il suo contrario. Se mai si farà la riforma organica del fisco – me lo auguro – richiederà tempo, accurate riflessioni tecniche e serrato confronto politico. Trattandosi di questione complessa, socialmente e politicamente incandescente. Non appena si apre il dossier, subito e giustamente si chiamano in causa varie questioni: la lotta all’evasione tanto patologicamente estesa in Italia; l’esigenza di provvedere, a monte, ad allestire un’affidabile anagrafe patrimoniale; l’eventuale ripristino della tassa di successione pressoché sparita da noi; la semplificazione/razionalizzazione del sistema, a cominciare dalla selva oscura e sterminata delle detrazioni; un diverso equilibrio tra tassazione sul lavoro e tassazione sulle rendite... Vasto programma. Sarebbe sbagliato accantonare il dossier, ma è irrealistico sperare che vi si possa provvedere a breve.

Intanto la casa brucia. Si moltiplicano i segnali di una rabbia sociale che sta per esplodere. La povertà dilaga. Si vedano le code chilometriche alle mense dei poveri. La chiusura delle imprese e la disoccupazione assumono dimensioni di massa. Tra l’estate e l’autunno finirà il blocco dei licenziamenti. Il mix di emergenza sanitaria ed emergenza economica si porta appresso una drammatica emergenza sociale. Di qui la proposta, che – oso dire – ne sortisce quasi come misura obbligata: una tassa di scopo, di solidarietà, della durata di un paio d’anni, giusto il tempo per fronteggiare la fase più acuta della crisi, aiutando milioni di persone e di famiglie che non ce la fanno. Va studiata bene. Altri su queste pagine in vari modi ne hanno già scritto. Qui solo tre cenni, per riprendere la discussione. Se si vuole reperire un gettito significativo, è necessario (e qualificante) ricomprendere la generalità dei contribuenti, escludendo naturalmente chi ha redditi modesti. Va poi assolutamente garantita equa progressività, e va introdotto un criterio ulteriore che consideri le differenze scontate dentro la pandemia in termini di sicurezza-continuità- volume delle fonti di reddito. Esemplifico: tra lavoratori e pensionati, tra autonomi e dipendenti, tra settore pubblico e privato. Differenze spesso profonde. Differenze che spiegano come, a fronte della povertà diffusa e montante, complessivamente i conti corrente abbiano avuto incrementi senza precedenti.

Chiudo con quattro osservazioni. La prima (si rinviene anche nel menzionato intervento del Fmi): oltre al rilievo pratico, un tale contributo avrebbe un prezioso valore simbolico. Mostrerebbe che la società, spesso ostile o indifferente, sa essere anche comunità solidale. La seconda: a fronte delle dimensioni della questione sociale, manifestamente, il generoso aiuto volontario è inadeguato. Deve intervenire la politica, nello specifico la politica fiscale. Terzo: chi se non voci del mondo cattolico hanno titolo e responsabilità per sollevare la questione e premere sui pubblici poteri perché, vincendo pigrizie e ossessione per il facile consenso, se ne facciano carico? Nel segno di una profezia che si fa politica. Quarto: forse l’operazione è più agevole per un governo di (quasi) unità nazionale come l’attuale, che distribuisce un po’ su tutti i partiti i costi di misure scomode ma necessarie.

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