Nessuno avrebbe mai immaginato che ci sarebbe voluto un virus per convincere il governo del più potente Stato del mondo a cambiare rapidamente e fortemente la propria strategia socioeconomica e geopolitica e a decidersi di mettere le mani nelle tasche dei più ricchi per interrompere l’acuirsi delle disuguaglianze. Ma questo prefigura la linea annunciata da Janet Yellen, segretario al Tesoro degli Stati Uniti d’America. Nel discorso tenuto il Lunedì dell’Angelo al Chicago Council on Global Affairs, un forum di confronto della finanza statunitense, Yellen, già presidente della Federal Reserve dal 2014 al 2018, ha messo in fila le 'colpe' commesse dal sistema Usa negli ultimi anni: «Nell’ansia di fare crescere le nostre economie abbiamo trascurato l’ambiente. Mentre introducevamo nuove tecnologie non abbiamo fatto abbastanza per permettere ai nostri lavoratori e al nostro sistema educativo di adeguarsi ai cambiamenti in corso.
Mentre utilizzavamo il commercio come motore di crescita, abbiamo trascurato coloro che rimanevano ai margini». Yellen ha ragione: nel 2019 negli Stati Uniti il 10% della popolazione più ricca ha assorbito il 45% del reddito nazionale al lordo delle tasse. L’1% di super-ricchi è stato destinatario, da solo, addirittura del 19%, mentre la metà della popolazione, quella più povera, ha dovuto accontentarsi e dividersi il 13%. Se guardiamo, poi, alla ricchezza accumulata, le cose vanno ancora peggio. Secondo i dati della Federal Reserve, l’1% più ricco dispone di un patrimonio complessivo pari a 38.600 miliardi di dollari, corrispondente al 31% di tutta la ricchezza detenuta dalle famiglie americane. Il 50% più povero possiede un patrimonio complessivo di 2.500 miliardi di dollari, ossia il 2% appena del totale.
Negli Usa lo stacco dei più ricchi nei confronti del resto della popolazione è iniziato negli anni 80 del secolo scorso con l’elezione di Ronald Reagan. Dal 1979 al 2016 il reddito netto dell’1% più ricco è cresciuto del 226%. Quello del 20% più povero è cresciuto solo del 47%.
Un divario provocato anche dal lievitare degli stipendi dei top manager: nel 1965 mediamente un amministratore delegato guadagnava venti volte di più di un normale lavoratore. Nel 2018 la differenza era diventata 278 a 1. In effetti, fra il 1978 e il 2018, mentre i compensi degli amministratori delegati sono aumentati mediamente del 900%, i salari dei lavoratori sono cresciuti solo del 12%.Ma un ruolo importante l’ha avuto anche la tassazione che è diventata sempre più generosa nei confronti dei più ricchi: mentre nel 1975 l’aliquota più alta era al 70% oltre 100mila dollari, nel 2020 la troviamo al 37% oltre 500mila dollari.
Una situazione che già in campagna elettorale Joe Biden aveva detto di voler modificare e che oggi ha ancora più ragione di voler cambiare in ragione di tutte le emergenze economiche create dalla pandemia. Nel corso del 2020 il debito pubblico degli Stati Uniti è cresciuto del 18% passando da 22.711 miliardi di dollari a 26.938 miliardi. E benché rappresenti ormai il 100% del Pil, ad oggi non desta particolare preoccupazione a causa dei bassi tassi di interesse. Ma in futuro potrebbe presentare problemi di sostenibilità anche perché l’emergenza economica è tutt’altro che finita. Non appena insediatosi alla Casa Bianca, Biden ha varato un nuovo stimolo economico per 1.900 miliardi di dollari e ha già annunciato la volontà di lanciarne un altro per 3.000 miliardi da destinare ad opere pubbliche, miglioramento del comparto educativo, assistenza all’infanzia. Spese che ora Biden intende coprire con un maggior gettito fiscale ottenuto non solo tramite un aumento delle aliquote sugli alti redditi, ma anche innalzando le imposte sui redditi di impresa.
Durante la sua amministrazione, Trump aveva ridotto l’imposta sui redditi di impresa dal 35 al 21%, ma ora Biden ha dichiarato di volerla riportare al 28%. E ricordando come il motto «America prima» ( America first) non può trasformarsi in «America sola», Yellen ha precisato che in un mondo così interconnesso come è quello di oggi, gli Usa non possono giocare la partita fiscale da soli. Per cui ha annunciato la volontà di lavorare con gli altri Paesi del G20 per concordare un’imposta minima sui redditi di impresa da applicare a livello mondiale in modo da fermare la corsa verso il fondo dei ribassi fiscali.
E qui la mente non può fare a meno di andare ai paradisi fiscali che, applicando imposte ridicole, stimolano le multinazionali a studiare ogni possibile strategia per trasferire i profitti in casa loro. Una pratica che ogni anno 'toglie' ai governi di tutto il mondo qualcosa come 427 miliardi di dollari. Ma che ora va fermata, perché anche la concorrenza deve rispettare le regole. Soprattutto, ha sottolineato Yellen: «La concorrenza è qualcosa che va oltre la capacità delle imprese di gareggiare fra loro in tema di fusioni e acquisizioni. Riguarda la possibilità di garantire ai governi sistemi fiscali capaci di finanziare i servizi pubblici essenziali, di rispondere alle crisi e di ripartire equamente fra tutti, il peso del finanziamento pubblico».