Mancano i leader, l’autorevolezza latita, i maestri sono pochi e pure poco ascoltati. Si vive in un contesto in cui la famiglia si ritrova smarrita, spesso sola e abbandonata. Neppure il tessuto sociale è a lei favorevole. Oggi si insegue troppo e da parte di troppi un falso senso di libertà individuale che deresponsabilizza i singoli.Siamo spesso di fronte ad adulti che predicano ma non praticano. Le nuove leve sono lo specchio dei limiti di chi li ha preceduti: il desiderio di affermare se stessi sovente supera ogni altra aspettativa. Ne è un esempio eclatante la disgregazione dei vincoli familiari. Nuclei di persone sempre più piccoli cedono sotto il peso delle incombenze quotidiane che rischiano di fare soccombere anche i più tenaci.La famiglia va recuperata per la sua natura e quale cellula fondamentale per la società. Va sostenuta applicando, in materia di fisco, il quoziente familiare. Va incoraggiata con tariffe che tengano conto del numero dei figli. Va inserita in un cammino di condivisione. «Occorre ritornare alla tribù», ha ricordato provocatoriamente Davide Rondoni venerdì scorso ai giornalisti della Federazione italiana settimanali cattolici (Fisc), convocati a Fabriano per i cento anni del periodico diocesano
L’Azione a ragionare in argomento. La famiglia-atomo non resiste. Ad essa finisce per mancare l’aria, presa come si ritrova nel turbinio delle nuove urgenze dettate da ritmi imposti da altri. Abbandonati a loro stessi, i genitori rischiano il tracollo per mancanza di energie fisiche, mentali ed economiche.Davanti a questi scenari si impone un nuovo inizio. La famiglia non può essere vista solo come un distributore di servizi. Essa è il luogo privilegiato in cui si cresce nei rapporti. In cui si impara ad amare perché si è amati fin da subito. In cui si accoglie la vita, sempre e comunque. Non si tratta solo di un fatto biologico, ma di un gesto d’amore, il più grande gesto d’amore. Con la generazione della vita, la coppia si slancia in avanti, prolunga se stessa. Nella famiglia ci si educa a vicenda, in una circolarità positiva che vede tutti nella condizione di figli. È il luogo principe dell’aiuto reciproco, dello scambio gratuito, dello spendersi per chi è più prossimo.È l’essenziale, si è ricordato a Fabriano. E bisogna davvero tornare a ciò che conta. Soprattutto in questa fase di gravissima crisi economica che rischia di accentuare le tensioni e di provocare ulteriori strappi. Nella famiglia si costruiscono le relazioni, quel bene che va oltre i valori economici, unici indicatori di una convivenza civile che basa troppo il suo benessere sui valori della produzione. Oltre alle difficoltà economiche, la famiglia attraversa una grave crisi di senso della vita, forse ancor più preoccupante. Alle nuove generazioni si trasmette ciò che si vive. Per ridare speranza bisogna avere un orizzonte alto, che vada oltre, capace di rendere pieni questi nostri giorni terreni. È l’«I care» di don Lorenzo Milani, il tanto evocato e invocato «mi sta a cuore» che fa di un maestro un autentico educatore in grado di contagiare chi gli sta vicino.Non bisogna temere di andare controcorrente. «Raccontate le notizie con contrasto», ha detto al convegno di Fabriano monsignor Claudio Giuliodori, vescovo di Macerata e presidente della Commissione Cei per le comunicazioni sociali. Ci vuole il coraggio di cambiare. Questo l’impegno per i giornali diocesani, da oltre un secolo autentici compagni di viaggio di chi abita i mille territori del Paese. Fogli profetici che narrano, in un orizzonte di Infinito, le gioie e i dolori, le preoccupazioni e le speranze della comunità locale, quel popolo di cui la famiglia di oggi avverte una lacerante nostalgia.