C’è la variante degli apparenti “futili motivi” nell’epidemia di violenza e morte che colpisce i giovani e i ragazzi di Napoli. Per l’ultimo, Arcangelo Correra, appena 18 anni, freddato sotto casa, in una piazzetta dei Tribunali, si parla di un “incidente” o di uno scherzo finito male. Ma già altre volte è bastato uno sguardo, un parcheggio conteso per la moto, una scarpa sporcata per ammassare i numeri per la più tragica delle sequenze che la città ricordi. C’è la costante di una pistola o di un coltello sempre a portata di mano a rendere insopportabile questa che si può chiamare emergenza, ma solo per tenere in campo un termine convenzionale e tuttavia largamente abusato.
Ma stavolta è diverso, perché ancora più allarmanti sono i segnali di un malessere che sembra allargare a dismisura, perfino oltre il tragico quadrante della malavita organizzata, il ricorso alle armi come un qualcosa di ordinario, poco più del cambio di cellulare, nella vita di giovani e ragazzi di Napoli. Lo scenario della città a mano armata non è certo estraneo alla realtà napoletana segnata dai raid di bande camorristiche, in lotta tra loro, ma sulle spalle dell’intera comunità. Questa Napoli, nella mattanza di questi giorni, paradossalmente s’è vista però solo nella sua pur torbida controluce. Dire che sia rimasta dietro le quinte è troppo perché si tratta di una presenza in ogni modo cupa e incombente. E un’amara e beffarda coincidenza l’ha resa ancora più manifesta. È stato quando il corteo di mobilitazione e preghiera, convocato da un appello del Pastore della città, don Mimmo Battaglia, è stato raggiunto dall’ennesima uccisione di un giovane, quando era ancora in corso. Come dire che non si fa in tempo neppure a ricordare o commemorare perché troppo forte e veloce è diventata l’onda di morte che continua a sconvolgere Napoli.
Non è stata avara, la cronaca di questi giorni, anche di altri delitti di cui sono stati vittime giovani in altre parti del Paese. Non si spara e si muore solo a Napoli, si è detto. Serve davvero a poco una così triste e falsa “consolazione”, che certo non annulla, né ridimensiona, una specificità tutta napoletana, inquinata dalla presenza attiva e costante della camorra che spara, ammazza e sparge veleno nel cuore della città. Punta i giovani, molti ne prende in ostaggio e non solo li arma, ma impone i suoi modelli di vita, sempre al confine stretto con la morte.
Sta di fatto che lo sfondo di queste tragedie ha portato alla luce una città diversa, immersa perfino in un clima sociale più disteso, visibilmente testimoniato dalla folla di visitatori - nelle strade, nelle piazze o in coda alle file dei suoi tanti monumenti - che ha dato da pensare, per Napoli, a una sorta di prolungata stagione turistica, quasi un momento di stacco da affanni che certo esistono ma talvolta è bene mettere da parte. A Napoli, in realtà, da tempo è calato il vecchio sipario. Il palcoscenico della vita, quasi uno dei suoi tanti sinonimi, non è più qui e, anzi, con una città così non ha più niente a che fare.
Quella città è diventata una cartolina sbiadita. Ora Napoli ripudia la scena e mette da parte la sua teatralità. Ora sembra vivere un’altra vita. Va solo in onda, sempre più immersa in una bolla digital-virtuale che la racconta come un sequel a temi ed episodi: Gomorra, per il suo lato violento e oscuro, le fiction - vecchie sceneggiate due punto zero - per gli intrecci di una vita che, sotto quel cielo e in riva a quel mare, impone storie complicate, e con al centro i disagi e il malessere di ragazzi e giovani in primo piano. Poi la schiera di registi e cineasti, a completare, anche con qualche firma d’autore, il quadro, anzi l’affresco sull’immagine complessiva. È parso emblematico, a suo modo, che dal racconto di Paolo Sorrentino, Napoli sia stata rappresentata da una figura umana, Parthenope che sorge dal mare. Prevedibile, per lo stile di Sorrentino, la natura onirica e grottesca di una rappresentazione che va alla fine incontro a una deriva oscena e blasfema. Niente, purtroppo, di nuovo sotto il cielo di Napoli. Ma con lo sguardo lungo, può essere in sé una deriva anche questa massiccia svolta nella narrazione di una città, sempre più indotta a mutare tono e, in sostanza, ad abbassarlo per un necessario (ma solo supposto) adeguamento ai tempi. La città più carnale di tutte si è così data all’immagine, ha fatto il salto, consegnandosi a un tempo nuovo che, a poco a poco, ne sta stravolgendo la vita. La Napoli vecchio e reale palcoscenico del vivo, si è trasformata in un set a cielo aperto. È questo il passaggio chiave nella sua storia moderna. Un vero e proprio cambio di stato, con il rischio del passaggio da una dimensione concreta e reale, per quanto spesso drammatica, a uno stato liquido e virtuale. Se la cultura della città cambia tono, sono le antenne dei giovani a captarne per primi i segnali, e a valutarli per quel che a Napoli rappresentano: in questo caso un ordinario adattamento ai tempi. Niente più di questo, soprattutto se si tien conto dello spessore della storia di una città che conserva il rango di antica capitale.
E allora qualche obiezione finisce per chiamare in causa anche quella sorta di trionfalismo che sembra far da sfondo a quell’ondata turistica capace di inebriare una città a cui non pare vero di trovarsi tra le mani una carta finalmente vincente e sulla quale investire (giustamente) molto. È bene chiarirlo. Sarebbe da miopi e incoscienti sbarrare le porte a chi arriva da ogni parte del mondo per ammirare le bellezze di Napoli e aumentarne allo stesso tempo il gettito che si traduce in nuove risorse e posti di lavoro. Eppure, stride e convince poco, come un qualcosa fuori luogo l’ostentata esultanza che accompagna non solo i numeri, ma anche la qualità e il tono di un certo diportismo. È solo da qualche tempo che Napoli sembra non riuscire più a contenere l’emozione per l’arrivo di qualche vip, e non stare nella pelle quando al largo (più o meno) delle sue coste c’è in vista qualche mega-yacht della nutrita pattuglia di tycoon in giro per i mari del mondo. L’enfasi è di per sé fuori misura, ma questo rapporto così impetuoso, e in sostanza nuovo, con il flusso di chi arriva a visitarla, mostra che Napoli sta investendo prima di tutto sé stessa.
Tutta Napoli sembra al lavoro ai cancelli non tanto virtuali di questo ramo di industria sorto da una natura compiacente. Ma sì deve anche aggiungere che non sembra pensare ad altro. Non è una faccenda di poco conto, perché da queste parti non si conoscono le mezze misure e l’impegno è diventato totalizzante. Con i riflettori accesi e sempre puntati addosso, si può finire per mettere talvolta da parte anche la vita vera e ordinaria, impegnarsi su un fronte e trascurarne altri, magari più deboli e vulnerabili. È forse accaduto. La terribile sequenza di questi giorni ha come fatto emergere lo sfondo di un’altra Napoli, dove si può restare uccisi per le faide e le lotte di camorra, ma dove, davanti a giovani e ragazzi lasciati allo sbaraglio, si apre anche il baratro della morte per (apparenti) futili motivi. La morte senza ragioni, ammesso che possano mai esservene.
Tante, e mai troppe, ragioni ha invece la speranza invocata per le strade da chi ha davvero a cuore Napoli e innanzitutto i suoi giovani. Nelle strade è scesa anche la Chiesa. Ha preso il suo posto a fianco della sua gente. Ha chiesto a chi ne possiede di deporre le armi. La speranza, ma anche il coraggio sono il segno di una chiesa che non può rassegnarsi a vedere i suoi giovani uccisi per strada. Quando accade, muore un po’ anch’essa.
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