È utile tornare sul Rapporto Censis 2019, dossier che ci aiuta a leggere l’evoluzione del nostro Paese. Di fronte alla crisi economica, ma non solo, di questi anni gli italiani – come ha sottolineato su "Avvenire" Alessia Guerrieri – hanno messo in campo «una risposta individuale». È a tutti evidente che tra gli italiani, incerti sul futuro, delusi dalla politica, consapevoli della crisi demografica, intossicati dalle percezioni che diventano verità sui social e sui mass media, presi da un’ansia spesso senza nome, si è rafforzata l’antica tendenza a guardare al proprio "particulare", a puntare – per usare le parole del Rapporto – alla «solitaria difesa di se stessi».
L’Italia del 2019 appare sfiduciata sulla possibilità di un miglioramento per sé e per la società nel suo complesso: «Il 69% degli italiani è convinto che la mobilità sociale sia bloccata». Secondo il 74% «l’economia continuerà a oscillare tra mini-crescita e stagnazione», mentre il restante 26% è certo che sia in arrivo «una nuova recessione». Davanti a un tale scenario, forte è la tentazione di contare solo «sulle proprie forze», di architettare «stratagemmi individuali per difendersi dalla scomparsa del futuro». Eppure, una tale narrazione non spiega del tutto alcuni dati in controtendenza. E non mi riferisco soltanto alle «piastre di sostegno» e ai «muretti di pietra a secco» che, per il Rapporto, permettono di puntellare il terreno del benessere e preservare la tenuta della convivenza sociale.
È interessante sottolineare il tentativo di ricostruzione del tessuto connettivo a partire da una nuova relazionalità, nonché da un più marcato investimento sulla cultura: gli italiani che hanno visitato monumenti o siti archeologici sono aumentati del 31,1% negli ultimi dieci anni, quelli che sono entrati in un museo del 14%, quelli che prestano «attività gratuite in associazioni di volontariato» del 19,7%.
C’è anche una success story: quella dell’integrazione in Italia dei non italiani di nascita. Le imprese straniere «sono enormemente cresciute anche negli anni della crisi», e mentre gli imprenditori nostrani «diminuivano del 16,3%, quelli stranieri sono aumentati del 48,4% (quelli extracomunitari del 57,6%)». E ancora: se nelle nostre scuole gli alunni di origine straniera non sono certo pochi (857.729, dato 2018), gli strumenti messi in campo in questi anni si sono rivelati tanto utili «che si registra un miglioramento dei tassi di scolarità, regolarità negli studi e successo formativo». Il dato è ancora più interessante se si pensa al ritardo con cui si aspetta una legge sulla cittadinanza basata sullo ius culturae e la retorica negativa, rivendicativa, repulsiva e vittimistica con cui viene avvolto deliberatamente quasi ogni discorso sull’immigrazione-invasione e sul ruolo degli immigrati in Italia.
Viviamo insomma – ma ormai dovremmo esserci abituati – in un Paese complesso e contraddittorio, in cui il «furore di vivere» di cui parla il Rapporto è insieme fattore d’ordine e di disordine. Disordine che è prima di tutto nell’umore, nei comportamenti. Il segretario generale del Censis Giorgio De Rita, dice che «l’errore della politica è stato quello di non essere stata capace di decidere».
Ma gli italiani lo sono stati in questi anni? Ci sono segnali allarmanti: il dilagare di disturbi di varia natura, la crescita della sfiducia e del contenzioso, la ricerca di una compensazione emotiva in quello specchio di sé che è lo smartphone: «Il 74% degli italiani si è sentito molto stressato per questioni familiari, per il lavoro o senza un motivo preciso; nel giro di tre anni il consumo di ansiolitici e sedativi è aumentato del 23%; il 75% non si fida più degli altri; il 49% ha subito nel corso dell’anno insulti o spintoni in un luogo pubblico; il 26% ha litigato con qualcuno per strada; più di un italiano su due controlla il telefono come primo gesto al mattino o l’ultima attività della sera». Il quadro Censis è, così, in chiaroscuro.
E riflette il nostro disordine, o forse meglio il nostro spaesamento nel mondo globale. Vi è raffigurato un Paese che ha vissuto delle difficoltà e si è ritratto in sé stesso, finendo così per aggravare le proprie condizioni. Le potenzialità che comunque l’Italia esprime – e in questo i 'nuovi italiani' sono generalmente un fattore positivo – potrebbero incamminarla verso un futuro differente. Se solo accettasse di fare i conti con il proprio vittimismo e riconoscesse che esso è il grande freno a ogni scatto verso un orizzonte meno incerto o meno cupo.