Gerusalemme resta la terra delle domande. La terra nella quale si trovano risposte, se il cuore è aperto all’ascolto. Ma soprattutto la terra dalla quale si riparte con altre mille domande inevase. Qui ne abbiamo tre di domande. La prima riguarda gli uomini della comunicazione, soprattutto se credenti. E cioè se non si possa suggerire, a chiunque si accosti al mondo complesso e sofisticato dell’informazione, di scegliere Gerusalemme come il punto di partenza per l’affascinante e imprevedibile viaggio nella comunicazione professionale. Se cioè non si debba quasi inserirlo in programma, nelle nostre scuole di giornalismo, un viaggio in Terra Santa. Per incontrare la Notizia, la Buona notizia che, fra Betlemme e il Calvario e il Sepolcro vuoto, ha cambiato il mondo per sempre. Ma anche, da non credenti, per incontrare il luogo santo delle tre religioni monoteistiche dove la pace ha un sapore acre e il conflitto si percepisce quasi come ineluttabile, figlio di un odio secolare che non riesce ad ascoltare la voce profonda e pacifica dei popoli. Proprio in questi giorni, in Terra Santa, alcuni giornalisti dei settimanali cattolici aderenti alla Fisc stanno visitando i luoghi in cui la Chiesa italiana, attraverso l’otto per mille, ha realizzato opere importanti. Loro ce l’hanno fatta ad andare a Gerusalemme. Dovrebbero farlo i giornalisti cattolici di tutto il mondo. E senza rimandare a domani. La seconda domanda riguarda la presenza dei cattolici in Terra Santa, ormai ridotta ad un misero due per cento della popolazione complessiva. Davvero poco per non temere per la sorte dei nostri fratelli e soprattutto per non correre il rischio dell’irrilevanza, stretti come sono tra ebrei e islamici. Le cause della diaspora, dalla violenza alla povertà, sono note. Molto di più va dunque ideato e progettato per garantire la persistenza delle comunità di questi nostri fratelli. Senza voler spaventare le altre popolazioni che insistono su quei territori, è indubbio che la strategia dei cattolici e dei cristiani va affinata. Un esempio concreto è quello degli aiuti al Patriarcato di Gerusalemme per la costruzione di alloggi da destinare alle famiglie cristiane (vedi l’esperienza generosa del Movimento Cristiano Lavoratori) perché restino e non scappino. O anche il sostegno che si può offrire all’Università Cattolica di Madaba, in Giordania. Per volere di Benedetto XVI e del Patriarcato latino di Gerusalemme, lì si stanno formando le future classi dirigenti cattoliche (e no) di tutta l’area. Ma qualcosa di più stringente va forse progettato perché i cattolici della diaspora tornino a vivere in Terra Santa, nei quartieri di Gerusalemme, come negli altri territori di Israele e della Palestina. Nessuno ha la soluzione in tasca, ma forse bisogna umilmente imitare gli ebrei che in Israele tornano per viverci con le loro famiglie. Con spirito di appartenenza alle proprie radici e non con voglia di rivalsa. Solo per amore di Gerusalemme. La terza, più che una domanda è un sogno. Quando Gerusalemme potrà ospitare una Giornata Mondiale della Gioventù? A metà marzo a Gerusalemme si è corsa una maratona, come accade in tante metropoli del mondo. Per strada correvano, in condizioni di assoluta sicurezza, atleti di ogni razza e nazione. Augurarsi una moltitudine di giovani cattolici che pregano Dio nella Valle del Cedron, senza nulla togliere agli ebrei e ai musulmani, è un sogno almeno da coltivare. E i sogni, si sa, ci aiutano a vivere. E aiutano anche la nostra fede, talvolta malandata.