Chi ha votato Ignazio La Russa?
Nel primo giorno di legislatura dell’era neobellica e (quasi) post-pandemica, contraddicendo ogni proposito di assoluta e lineare serietà in nome delle sofferenze del Paese, la politica riesce a regalare al Paese l’ennesimo titolo da B-movie. Chi siano i 18-20 senatori d’opposizione che hanno scritto il nome del nuovo presidente del Senato, sommandosi a Fratelli d’Italia e Lega, resterà un mistero degno, giusto per pescare un esempio tra i tanti possibili, degli altrettanto famosi e altrettanto anonimi 101 parlamentari del Pd che impedirono, nel 2013, la salita al Quirinale di Romano Prodi.
L’antica arte di tirare la pietra e nascondere la mano, con la solida copertura dell’ondata di schede bianche decisa dalle opposizioni a Palazzo Madama, la spunta quindi su quel clima di emergenza sociale ed economica che richiederebbe stili più comprensibili e scenari più trasparenti. E soprattutto, confonde le acque in vista della formazione del governo.
Tra senatori-fantasma e voti caduti nell’urna 'a lor insaputa' (tanto per citare un altro grande classico della politica nostrana), l’unica certezza cui ci si può aggrappare per orientarsi è il dato politico di fondo della strana mattinata del Senato. Il punto d’inizio è il tentativo di Silvio Berlusconi di sfidare in un braccio di ferro Giorgia Meloni, mettendo in discussione il patto sulle Camere per costringerla a rivedere i veti sui futuri ministri azzurri. La conclusione è che La Russa è comunque presidente del Senato con voti che 'sostituiscono' l’apporto di Forza Italia.
Mentre Berlusconi non solo perde la battaglia in aula, ma rinuncia anche al nome di Licia Ronzulli – vero casus belli di questi giorni – per un dicastero nel futuro esecutivo. Il caos che è nel mezzo resta tutto da indagare sia nei suoi aspetti politici sia dal punto di vista del gossip, ma ciò che conta è che anche nel Palazzo è avvenuta quella rideterminazione dei rapporti di forza nel centrodestra (ormai destracentro) già registrato alle elezioni: Berlusconi non è il più il dominus della coalizione e la sua ex ministra della Gioventù pretende per sé una leadership piena, ovvero senza più debiti da saldare con il Cav.
Non solo: Matteo Salvini, dopo giorni spesi nell’inedita veste di mediatore, giunto al bivio sceglie senza se e senza ma di stare con Meloni, mostrando una insospettabile duttilità (temporanea?) anche rispetto al sofferto ruolo di numero due dell’alleanza. Probabilmente il capo della Lega ne guadagnerà più caselle (e più rilevanti) nel governo e nelle istituzioni, nonché quel margine discrezionale aggiuntivo che gli consentirà stamattina di proporre Lorenzo Fontana anziché Riccardo Molinari alla presidenza della Camera, ma traspare anche un patto più ampio tra i due leader più giovani per bloccare sul nascere le aspirazioni e gli interessi prioritari dell’anziano ex premier.
Un messaggio anche alle truppe di Forza Italia, che nonostante un risultato elettorale superiore alle aspettative più grame dovranno decidere, probabilmente già lungo questa legislatura, se adattarsi al nuovo corso di destra o cedere all’Opa permanente di Calenda e Renzi. Dal punto di vista degli effetti di quanto accaduto ieri sul nuovo governo e sulla premiership di Giorgia Meloni, gli scenari sono due. Da un lato, nonostante l’oggettivo danno d’immagine che la coalizione ha subìto nel giorno in cui si è presentata al Paese, la prova di forza appena vinta potrebbe aiutare la leader Fdi a chiudere velocemente, come più volte assicurato, sulla squadra dei ministri.
Al contrario, se il leone ferito, Berlusconi, decidesse di portare le divisioni del centrodestra sino al Colle, tutto ciò che sinora è stato dato per scontato – dall’investitura di Meloni alla suddivisione dei dicasteri – potrebbe cadere come un castello di sabbia. La logica porta a credere che una sorta di ricucitura ci sarà, anche perché Forza Italia non appare granitica sulla linea dura di Berlusconi. Ma dal giorno successivo al giuramento, la lite delle ultime ore promette di diventare comunque tensione strisciante, con ripercussioni che potrebbero tradursi nell’esatto contrario di quella navigazione rassicurante e coesa promessa da Meloni negli ultimi giorni. In fondo, se c’è qualcosa che accomuna gli “anonimi” elettori di La Russa, è aver capito già ieri mattina, in tempo reale, che questa legislatura, come quella appena conclusa, non procederà su un binario dritto. E anche i vertici dei partiti delle opposizioni saranno chiamati, forse prima di quanto immaginino, ad uscire dalla comfort zone della scheda bianca.