Basta dare un’occhiata al calendario del 2022 e alle prove e agli 'esami' economico-sociali che, mese dopo mese, dovremo affrontare come comunità nazionale per concludere che solo una classe dirigente con la testa sulla Luna potrebbe pensare che la solidità e la stabilità nell’azione di governo siano un lusso che possiamo non permetterci.
A scanso di distrazioni, oggi quel calendario lo mettiamo in pagina su Avvenire.
Leggerlo, e ragionaci su, serve anche a continuare la riflessione su quanto temerario sarebbe «dare per scontato» Mario Draghi e il servizio che svolge a Palazzo Chigi, in un non cercato ma accettato e prezioso ruolo-guida nella Ricostruzione italiana ed europea. Quella Ricostruzione che lo stesso premier evocò, insediando il governo di larga coalizione, e che s’impone per l’infinita crisi globale che sperimentiamo e che la pandemia ha aggravato, mescolando disagi esistenziali, avventurismi geopolitici, impoverimenti, ingiustizie e disuguaglianze. Basta ragionare, e tenere i piedi per terra, per rendersi conto di quanto sarebbe pericoloso trasformare quest’anno cruciale appena agli inizi, e che coincide con la lunga vigilia del voto generale della primavera 2023, in un ring e ridurre l’elezione del nuovo Presidente della Repubblica al primo round di una presuntuosa scazzottata tra partiti con pochi muscoli e meno cervello.
Ricostruzione, sì. A questo dovremmo sentirci tutti chiamati, come negli anni Quaranta e Cinquanta del Novecento.
Impegnati a fare di tutto – comunque inclini il nostro favore partitico e dovunque batta il cuore – perché questi anni Venti somiglino a quella faticosa e bella stagione di ricominciamento, quando pur nelle divisioni più radicali si trovò la giusta misura comune per dare volto alla democrazia e preparare lo sviluppo che avremmo chiamato Miracolo. A far di tutto perché non siano, invece, come il decennio infausto e nero, quegli altri anni Venti, in cui – giusto un secolo fa – si marciò e si fecero marcire le Istituzioni, si annientò la nostra democrazia (e altre ugualmente imperfette) e si lasciò incubare ed esplodere una poderosa crisi sociale ed economica, approfondendo e infettando le ferite aperte d’Italia e d’Europa, appestando infine il mondo intero.
Allora c’era Alcide De Gasperi al governo e si elesse Luigi Einaudi al Quirinale. A nessuno venne in mente di far traslocare sul Colle l’indaffaratissimo ed efficace presidente del Consiglio o, magari, di usare tale prospettiva per logorarlo e congedarlo scriteriatamente anzitempo. E tantomeno saltò in testa di usare il Colle per rivincite personali o di fazione. Si parla tanto di «metodo» per la scelta del Capo dello Stato: si cominci magari da qui, consapevoli dell’esigente cammino che ci sta davanti.