In Consiglio dei ministri la norma del decreto fiscale che stanzia 200 milioni per far fronte alle maggiori richieste di reddito di cittadinanza nel 2021 per coprire gli assegni fino a dicembre, ha fatto emergere al massimo livello politico-istituzionale la spaccatura politica che c’è su questo strumento. Da una parte Lega, Forza Italia e Italia Viva; dall’altra Pd, Leu e 5Stelle. E per questi ultimi, si sa, si tratta di una misura 'bandiera'. Lo scontro è molto duro e solo l’autorevolezza del premier Draghi l’ha contenuto. Ma è del tutto evidente che si riproporrà.
Il punto vero però, nell’interesse del Paese, per tutti gli attori politici, è che nessuno dovrebbe permettersi di fare di una questione del genere una bandiera intangibile, o da ammainare ogni costo. Due, soprattutto, i punti su cui riflettere. Primo: il Rdc ha consentito di affrontare, riducendo notevolmente i danni, il disagio sociale della pandemia, disagio che peraltro in Italia è strutturale. Il che conferma che il Rdc come idea è in sé una misura di civiltà in economie da tempo sotto stress da precarietà e disuguaglianze. Secondo: la misura - come si spiega da tempo su queste pagine – è da calibrare e affinare perché svolga al meglio il suo ruolo, senza abusi ed effetti distorsivi sul mercato del lavoro. Conseguenza logica unica e sola: va mantenuto ancorché riformato. Chi è in buona fede lavori in sintonia a questo.
Un punto di merito delle polemiche va però approfondito in modo particolare. Il sospetto che il Rdc incentivi il lavoro nero, impedendo l’emersione di reddito fiscalmente tracciabile dei lavoratori e ovviamente dei ricavi che vi si legano, altrettanto in nero, dei datori di lavori. Punto giustissimo, e che dev’essere perseguito e voluto da tutti. Perché alla lotta al lavoro nero devono contribuire attivamente anche i datori di lavoro, non offrendone più. E in questo senso si aspetta da decenni un’azione di sensibilizzazione e controllo delle associazioni datoriali e camerali. Il proprio dovere si fa in tre, lavoratore (spesso il soggetto più debole della catena), datore di lavoro e istituzioni.
Non si può chiedere un ispettore dell’Inps per ogni bar, fabbrichetta, piccola azienda, singolo datore di lavoro. O la smettiamo con l’ipocrisia di reclamare sempre che sia lo Stato a farci rispettare le leggi, o non andiamo da nessuna parte, perché lo 'stato delle cose' lo facciamo noi. Guai se la lotta contro il Rdc fosse una lotta per rimettere in campo un esercito di disoccupati e precari, disposti a lavorare a bassissime condizioni di reddito 'in chiaro' e soltanto in modo 'stagionale'. Sono le paghe minime che possono far risultare competitivo il pur basso Rdc. Insomma, a chi conviene un esercito salariale di riserva a basso o nullo reddito sul mercato del lavoro in Italia? Forse ai percettori del reddito di cittadinanza? Solo se si risponde senza ipocrisia a questa domanda, sarà possibile affrontare con lealtà anche verso l’intelligenza comune delle cose la questione (e non solo questa!) del reddito di cittadinanza.
Se vogliamo riportare stabilmente l’Italia nella civiltà sociale ed economica, è tempo che la costituzione materiale del Paese non si fondi più sull’ipocrisia.