È stato abbastanza incongrua, qualche settimana fa, la perorazione contro il declino demografico italiano di Elon Musk sul palco di Atreju. Accolto come una rockstar, con l’ultimo figlio attaccato alla gamba, “l’uomo più ricco del mondo”, ci ha spiegato che un Paese che non fa figli è destinato al declino, e questo declino sarebbe una perdita secca, e non solo per noi italiani, ma per chiunque guardi con simpatia e ammirazione all’Italia, alla nostra storia, alla nostra cultura, alla nostra civiltà. Come dargli torto? Epperò, quest’appello è suonato abbastanza stonato nel contesto. Girato un po’ troppo nella cultura politica ai piedi del palco, e sul palco, a “dare figli alla patria”; un po’ troppo a fare “i figli giusti”, quelli indigeni, contro i figli degli altri, degli immigrati, come gli è stato rinfacciato nella consueta polemica politica. E poi perché, era stonata in sé la figura di chi lanciava l’appello: undici figli (questo va bene, se lo può permettere), tre mogli (questo va un po’ meno bene, una versione postmoderna del patriarcato), due figli con la maternità surrogata (questo onestamente se la poteva evitare, ancorché un’opzione legittima sul mercato della genitorialità nel suo Paese). A dirla tutta, tra una cosa e l’altra di questa biografia familiare e generativa, l’Elon Musk di Atreju tra divorzi e gestazione surrogata, più che una sollecitazione a tener viva la famiglia tradizionale generativa, dava la sensazione di aver sostituito l’harem. Meno costoso e meno fastidi. Un po’ come il costo del lavoro nei Paesi poveri. Insomma, uno spot ai vertici del neocapitalismo globale, di quello che possono fare e permettersi i nuovi faraoni del potere economico globale. E tuttavia, al di là di questa auto-delegittimazione empirica del messaggio, la questione dell’inverno demografico dei Paesi occidentali, compresa l’Italia, che ha posto è una questione reale e non può essere accantonata per astio politico o ideologico da nessuno; tanto più che alcuni degli stili di vita impersonati da Musk hanno non poca adesione ideologica e politica a “sinistra”. Il punto dirimente è che la questione demografica è una questione di tutti, e dovrebbe essere posta al riparo dalla stupidità e dalla cecità della contrapposizione politica. Dovremmo cominciare a fare sul serio con l’idea che i figli sono sempre giusti, i nostri e quelli degli altri, e dobbiamo generarli, farli crescere insieme, perché insieme saranno il Paese, non solo il nostro, che verrà. A destra, dovrebbero capire che i figli dei migranti sono giusti quanto i nostri. A sinistra che questo “internazionalismo” generativo, politicamente corretto, non fa aggio sul fatto che anche i figli indigeni sono giusti, e ne va promossa la generazione. Che non si può assistere, senza sorridere amaramente, che ci si affanna anche giustamente (non sempre) a sostenere la generatività familiare non “tradizionale”, e sembra sia retriva conservazione promuovere la generatività (ormai più o meno) tradizionale. Conservare l’indigenato “nazionale” non è una cattiva azione, soprattutto se lo si fa mentre si arricchisce degli importi generativi migrati a comporre la “nazione” futura, quella che nascerà nel nostro come in altri Paesi. E che, anzi, un Paese che fa figli ha meno paura a mettere un posto a tavola per i figli degli altri. Ecco, così alla buona, questo sarebbe un buon punto di partenza per cominciare a ragionare.
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