Nella consueta conferenza stampa durante il volo di ritorno dai suoi viaggi apostolici, a papa Francesco – rientrante dalla Gmg di Panama – è stata posta dalla giornalista Lena Klimkeit della Deutsche Presse-Agentur una domanda sul rapporto tra la misericordia che il Santo Padre spesso richiama come atteggiamento fondamentale della carità pastorale della Chiesa verso tutti e le parole da lui pronunciate alla Via Crucis con i giovani al Campo Santa Maria la Antigua, laddove denuncia il «grido soffocato dei bambini ai quali si impedisce di nascere», ponendolo accanto al grido presente in quanti si vedono negato «il diritto di avere un’infanzia, una famiglia, un’educazione; nei bambini che non possono giocare, cantare, sognare ...», e in coloro che cadono «nelle reti di gente senza scrupoli» di «sfruttamento, criminalità e abuso».
La domanda tradisce una incomprensione non di rado presente tra gli ascoltatori e i commentatori, pur attenti, dei discorsi di Francesco: quella che declina la categoria della misericordia secondo il genere spurio del lassez-faire, lassez-passer proprio di una forma di liberalismo etico e non la coniuga invece, nel solco corretto della teologia morale, con la oggettiva ingiustizia connessa al peccato dell’uomo che viene perdonato dalla infinita misericordia di Dio attraverso il ministero della Chiesa. Essa, mentre è chiamata a esaltare e dispensare la misericordia del Padre anche verso coloro che si macchiano di pesanti crimini («il messaggio della misericordia è per tutti», anche per le donne che abortiscono, ha detto il Papa rispondendo alla giornalista), non può, al medesimo tempo, esimersi dal ricordare la gravità delle azioni commesse, come «l’aborto o l’infanticidio [che] sono abominevoli delitti» (Concilio Vaticano II, GS 51). «È un male umano. Ed evidentemente, siccome è un male umano – come ogni uccisione – è condannato» anche dalla Chiesa (papa Francesco, 2016).
Ma Francesco non si è fermato qui. Ha messo in chiara luce che in questo caso si tratta di «una misericordia difficile perché il problema non è dare il perdono, ma accompagnare una donna che ha preso coscienza di aver abortito. Sono drammi terribili. [...] Con Dio c’è già il perdono, Dio perdona sempre. Ma la misericordia [richiede] che lei elabori questo». C’è una ferita che deve essere sanata: essa resta aperta anche se la misericordia cancella il peccato. Il Papa lo sa bene perché ha «incontrato tante donne che portavano nel loro cuore la cicatrice per questa scelta sofferta e dolorosa. Ciò che è avvenuto è profondamente ingiusto; eppure, solo il comprenderlo nella sua verità può consentire di non perdere la speranza» (Lettera per il Giubileo Straordinario, 2015). Senza verità non vi può essere riconciliazione con Dio, con chi è vittima del proprio peccato e con sé stessi. «L’aborto si aggiunge al dolore di tante donne, che ora portano in sé profonde ferite fisiche e spirituali dopo aver ceduto alle pressioni di una cultura secolare che sminuisce il dono di Dio della sessualità e il diritto alla vita dei nascituri», ricordava nel 2014 ai vescovi del Sudafrica.
Un segno profondo del figlio che non è nato resta nella psiche e nella coscienza della donna che ha abortito non meno di quanto vi resti una traccia biologica di quella presenza della vita nascente che è stata interrotta. Papa Francesco ha ricordato quanto gli è stato riferito da uno studioso sulla permanenza nel corpo della madre, per molti anni e talora per sempre, di cellule fetali anche dopo il parto o l’interruzione della gravidanza.
Un fenomeno chiamato 'microchimerismo' e che è documentabile in diversi tessuti materni non placentari dove alcune cellule del figlio si annidano e proliferano. Un dato biologico che rimanda a un senso antropologico e a un vissuto psicologico. Dopo il parto, molte madri raccontano di sentirsi come se il proprio figlio fosse ancora dentro di loro, e – con commovente tenerezza – il Santo Padre suggerisce alle donne che hanno abortito e sono state perdonate da Dio nel sacramento della confessione di riconciliarsi anche con il proprio figlio mai nato: «Tuo figlio è in cielo, parla con lui. Cantagli la ninna nanna che non hai potuto cantargli» tra le tue braccia perché gli è stato impedito di nascere. Riecheggiano così le parole di San Giovanni Paolo II nella Evangelium vitae (n. 99), rilanciate da Benedetto XVI nel febbraio 2011: «Non lasciatevi prendere dallo scoraggiamento e non abbandonate la speranza. [...] Allo stesso Padre e alla sua misericordia potete affidare con speranza il vostro bambino».