Molto preoccupato per la situazione del Venezuela (“Sono terrorizzato dallo spargimento di sangue. Serve una soluzione giusta e pacifica”), ma felice per l'esperienza della Gmg di Panama: “È stato un viaggio forte. Il termometro, la stanchezza... e sono distrutto”. Convinto nel riaffermare che il celibato nella Chiesa latina non si tocca e vicino alla sofferenza delle donne che abortiscono: “Il dramma dell'aborto, per capirlo, bisogna essere in un confessionale”. Molto chiaro su che cosa ci si deve attendere dall'incontro dei presidenti delle Conferenze episcopali di tutto il mondo in merito al problema degli abusi: “Una presa di coscienza del problema e la definizione del che cosa fare, le procedure, i protocolli”. E altrettanto netto nel ricordare che quello delle migrazioni è “problema complesso” che richiede al tempo stesso capacità di accoglienza, prudenza dei governanti e aiuti economici alle nazioni da cui i migranti partono. E' sicuramente un Francesco in forma, nonostante le fatiche di questi cinque giorni in terra panamense, quello che si presenta ai giornalisti per la consueta conferenza stampa sul volo di ritorno a Roma. Fino all'ultimo il Papa non si è risparmiato, incontrando in nunziatura, poco prima di partire, un gruppo dell'Unicef e ascoltando la testimonianza di due bambine. “Ho sentito cose che toccano il cuore”, sottolinea. E fa riferimento ad esempio a Marta Avila, la sedicenne honduregna che ha cantato per lui una bellissima canzone contro il bullismo.
Non si risparmia il Papa neanche di fronte alle domande dei giornalisti, che toccano diversi argomenti, compresa la necessità dell'educazione sessuale a scuola, da attuare però senza “colonizzazioni ideologiche”. Spiega, rispondendo a un giornalista di Panama, che per lui “la missione del Papa in una Gmg è quella di Pietro. Confermare nella fede”. E che bisogna attuarla “non solo con la testa ma anche con il cuore e con le mani”. E infine, parlando di Panama, dice di essere rimasto colpito dalla nobiltà di questa nazione. “Il loro orgoglio era alzare i bambini al passaggio della papamobile e dire 'questa è la mia vittoria, il mio futuro, il mio orgoglio'. Questo, nell'inverno demografico che stiamo vivendo in Europa, e specialmente in Italia sotto zero, ci deve far pensare. Qual è il mio orgoglio, il turismo, la villa, il cagnolino o alzare un figlio?”.
Qui di seguito riportiamo le principali risposte date dal Pontefice alle domande dei giornalisti al seguito.
Sulla situazione venezuelana
Io sostengo tutto il popolo venezuelano, che sta soffrendo. Se cominciassi a dire di fare attenzione a questi Paesi o a questi altri, mi metterei in un ruolo che non conosco. Sarebbe una imprudenza pastorale da parte mia, e farei danno. Le parole le ho pensate, ripensate (si riferisce all'Angelus di domenica, ndr) e ho espresso la mia vicinanza e ciò che sento. Io soffro per tutto questo. Mettersi d'accordo non è sufficiente. Serve na soluzione giusta e pacifica. Mi spaventa molto lo spargimento di sangue. E chiedo grandezza a quelli che possono aiutare a risolvere il problema. Il problema della violenza mi atterisce. Dopo tutti gli sforzi fatti in Colombia, ciò che è successo nella scuola dei cadetti (21 morti per un attentato terroristico, ndr) è un orrore. Non mi piace la parola equilibrato. Devo essere un pastore. E se hanno bisogno di aiuto, che si mettano d'accordo e lo chiedano.
Sul celibato dei sacerdoti
«Nel rito orientale della Chiesa cattolica possono farlo. Si fa l’opzione celibataria prima del diaconato. Nel rito latino mi viene in mente una frase di san Paolo VI: “Preferisco dare la vita prima di cambiare la legge del celibato”. È una frase coraggiosa. Personalmente penso che il celibato sia un dono alla Chiesa. In secondo luogo, dico che non sono d’accordo di permettere il celibato opzionale, no. La mia decisione è: il celibato opzionale prima del diaconato no. Sia chiaro che io non la farò. Sono chiuso? Forse, ma non sento di mettermi davanti a Dio con questa decisione. C'è un libro di padre Fritz Lobinger che propone in determinate situazioni (penso alle isole del Pacifico dove non ci sono sacerdoti) di ordinare un anziano sposato e dargli solo il munus santificandi, cioè che celebri la messa, che amministri il sacramento della riconciliazione e dia l’unzione, perché dice l'autore che la Chiesa fa l’eucaristia e l’eucaristia la fa la Chiesa. Il libro è interessante. E forse può aiutare a pensare il problema. Credo che il tema deve essere aperto in questo senso: dove c’è il problema pastorale per la mancanza di sacerdoti. Non dico che si debba fare, perché non ho riflettuto, non ho pregato a sufficienza su questo. Ma i teologi devono studiare. Padre Lobinger è un fidei donum. È già anziano. Parlavo con un officiale della segreteria di Stato, un vescovo, che ha dovuto lavorare in un Paese comunista all’inizio della rivoluzione. Erano gli anni Cinquanta. I vescovi ordinarono di nascosto dei contadini, bravi, religiosi. Poi passata la crisi, trenta anni dopo, la cosa si è risolta. E mi diceva l’emozione che aveva avuto quando in una concelebrazione vedeva questi contadini che mettevano il camice per concelebrare. Nella storia della Chiesa questo è stato dato. È una cosa da studiare, da pensare e pregare». Gli ricordano che ci sono anche i sacerdoti sposati ex anglicani e il Papa risponde: “È vero. Benedetto XVI aveva concesso che i sacerdoti anglicani diventati cattolici vivessero come se fossero orientali”.
Sull'educazione sessuale a scuola
L'educazione sessuale nelle scuole bisogna insegnarla. Il sesso è un dono di Dio. Non è un mostro. E' il dono di Dio per amare. Che alcuni lo usino per fare soldi o sfruttare gli altri è un altro problema. Però bisogna dare una educazione sessuale oggettiva, come è. Senza colonizzazione ideologica. Con la eduzione sessuale piena di colonizzazione ideologica si distrugge la persona. Però il sesso come dono di Dio deve essere educato, estrarre il meglio della persona e accompagnarla nel cammino. L'ideale è che si cominci in casa. Ma non sempre è possibile perché ci sono tante situazioni diverse nelle famiglie. Dunque la scuola supplisce, ma non succeda che il vuoto sia riempito con qualche ideologia.
Sui motivi che allontanano i giovani dalla Chiesa
Soprattutto la mancanza di testimonianza. Se un pastore fa l'imprenditore o l'organizzatore di un piano pastorale, o se un pastore non è vicino alla gente, questo pastore non dà testimonianza di pastore. Il pastore deve essere con la gente, pastore e gregge, diciamo con questo termine. Il pastore deve essere davanti al gregge, per marcare il cammino, in mezzo al gregge, per sentire l'odore della gente, e capire cosa sente la gente, di quale cosa ha bisogno, e dietro al gregge per custodire la retroguardia. Ma se un pastore non vive con passione, la gente si sente abbandonata.
Lo stesso vale per i laici, i cattolici ipocriti. Che vanno tutte le domeniche a messa, poi non pagano la tredicesima, ti pagano in nero, sfruttano la gente, poi vanno nei Caraibi a fare le vacanze, con lo sfruttamento della gente. “Ma io sono cattolico, vado tutte le domeniche a messa!”. Se tu fai questo dai una controtestimonianza. E questo è a mio parere quello che più allontana la gente dalla Chiesa. Io ho paura dei cattolici così eh? Che si credono perfetti! Ma la storia si ripete, lo stesso Gesù coi dottori della legge, no?
Sul dramma dell'aborto, dopo le forti parole in una stazione della Via crucis di venerdì. Non ritiene che questa sia una posizione radicale che non rispetta le donne e sia in contrasto con la misericordia?
Il messaggio della misericordia è per tutti. Anche per la persona umana che è in gestazione. Dopo aver fatto questo fallimento c'è misericordia pure. Ma una misericordia difficile perché il problema non è dare il perdono, ma accompagnare una donna che ha preso coscienza di aver abortito. Sono drammi terribili. Dico la verità, bisogna essere nel confessionale e tu devi lì dare consolazione. Per questo io ho aperto la potestà di assolvere l'aborto per misericordia, perché tante volte devono incontrarsi con il figlio. Io consiglio tante volte quando hanno questa angoscia: “Tuo figlio è in cielo, parla con lui. Cantagli la ninna nanna che non hai potuto cantargli”. E lì si trova una via di riconciliazione della mamma con il figlio. Con Dio c'è già il perdono, Dio perdona sempre. Ma la misericordia, che lei elabori questo. Il dramma dell'aborto, per capirlo bene, bisogna essere in un confessionale.
Sugli abusi e la prossima riunione dei presidenti delle Conferenze episcopali nazionali
L’idea è nata nel C9 perché lì noi vedevamo che alcuni vescovi non capivano bene o non sapevano cosa fare o facevano una cosa buona e un’altra sbagliata e abbiamo sentito la responsabilità di dare una “catechesi” su questo problema alle conferenze episcopali. Per questo si chiamano i presidenti. Primo: che si prenda coscienza del dramma, cos’è un bambino abusato, una bambina abusata. Io ricevo con regolarità gente abusata. Ricordo uno di 40 anni senza poter pregare. È terribile questo, la sofferenza è terribile. Secondo: che sappiano cosa si deve fare, la procedura perché tante volte il vescovo non sa cosa fare. Una cosa che è cresciuta molto forte e non è arrivata a tutti gli angoli, diciamo così, e poi che si facciano programmi generali, ma che arrivino a tutte le conferenze episcopali. Cosa deve fare il vescovo, cosa deve fare l’arcivescovo che è il metropolita, cosa deve fare il presidente della conferenza episcopale. Ma che sia chiaro in maniera che ci siano dei protocolli. Ma prima di cosa si deve fare, bisogna prendere coscienza. Durante l'incontro pregheremo, ci sarà qualche testimonianza per aiutare a prendere coscienza e poi qualche liturgia penitenziale per chiedere perdono per tutta la Chiesa. Stanno lavorando bene nella preparazione. Io mi permetto di dire che ho percepito un'aspettativa un po' gonfiata. Bisogna sgonfiare le aspettative a questi due punti, perché il problema degli abusi continuerà, è un problema umano, ma umano dappertutto. Ho letto una statistica l’altro giorno, sono di quelle statistiche che dicono il 50 per cento è denunciato, il 20 per cento è ascoltato, diminuisce. Finiva così: il 5 per cento è condannato, terribile. È un dramma umano e dobbiamo prendere coscienza. Anche noi risolvendo il problema nella Chiesa, ma prendendo coscienza, aiuteremo a risolverlo nella società, nelle famiglie dove la vergogna fa coprire tutto. Ma prima dobbiamo prendere coscienza, avere i protocolli e andare avanti.
Sulla chiusura del Cara di Castelnuovo di Porto, dove ha celebrato nel 2016 la Messa “in coena Domini” del giovedì santo.
Ho sentito rumori di ciò che succedeva in Italia, ma ero immerso nel viaggio, così precisamente non conosco la cosa, ma mi immagino. E' vero che il problema dei migranti è molto complesso. Ci vuole memoria. Domandarsi se la mia patria è stata fatta dai migranti. In Argentina tutti migranti. Negli Stati Uniti tutti migranti. Le parole che io uso sono: il cuore aperto per ricevere, accogliere, accompagnare, far crescere e integrare. E anche dico che il governante deve usare la prudenza. E' una equazione difficile. Mi viene in mente l'esempio della Svezia che negli anni '70 con le dittature in America Latina ha ricevuto tanti immigrati, ma tutti integrati. E vedo cosa fa Sant'Egidio: integrazione di tutti. Ma gli svedesi l'anno scorso hanno detto fermatevi un po' perché non possiamo finire il percorso. E questa la prudenza del governante. E' un problema di carità, di amore, di solidarietà. E io ribadisco che le nazioni più generose nel ricevere sono state l'Italia e la Grecia. Anche un po' la Turchia. Il Libano pure è una meraviglia di generosità. La Giordania lo stesso. Ma è vero che si deve pensare realisticamente. Un modo di risolvere il problema delle migrazioni è aiutare i Paesi da cui i migranti vengono. I migranti vengono o per fame o per guerra. Investire dove c'è la fame. L'Europa è capace di farlo. In modo da aiutare a crescere. Ma parlando dell'Africa, sempre c'è nell'immaginario collettivo l'idea che l'Africa va sfruttata, questo fa male. E' un problema complesso che si deve affrontare parlare senza pregiudizi.