Come con Terri Schiavo, ancora una volta l’America si china sul letto di una donna inerte, e che avrebbe detto ai suoi di non volere vivere, se ridotta all’incoscienza. Però, questa volta, le vite sono due. Il cuore del bambino, oggi alla ventiduesima settimana, continua a battere. Secondo il padre le ecografie testimoniano gravi handicap, altro argomento che spinge molti a pensare che è meglio staccare quella spina. E lo scontro attorno a Marlise si fa violento: il marito accusa i medici di usare la moglie come un contenitore, o una cavia.
La decisione di ieri forse sarà impugnata da una Corte di livello superiore, e la battaglia potrebbe andare avanti. Nel frattempo andrà avanti anche quella gravidanza forse lesa, eppure così tenace; quel battito, in una donna cerebralmente morta. Attorno a una vicenda come questa viene da parlare a bassa voce. E tuttavia, con il rispetto che si deve al dolore, si può domandarsi se davvero il marito possa ritenersi il depositario assoluto della volontà della moglie. Si può dire, in astratto, da sani, 'se capitasse a me, staccate la spina'. Ma davvero quella donna aveva contemplato questa evenienza, aspettando un figlio che desiderava? Cambiano molte cose, nella testa di una donna, quando aspetta un figlio. (Ci sono perfino donne che, gravemente malate, scelgono di portare a termine la gravidanza: quasi per lasciarsi dietro, nella morte, una vita).
Colpisce poi, nei familiari, la non considerazione di quel figlio; il guardare a lui quasi come a un occupante. Davvero sua madre lo guarderebbe così? Fatichiamo a crederlo. Quel battito leggero e ostinato sembra una domanda, un bussare – sopraffatto dal clamore dello scontro, accecato dai riflettori delle tv.