Se la questione non fosse seria, perché qui si tratta di truffare lo Stato e i cittadini che pagano le tasse, si potrebbe dire che i «furbetti del cartellino» sono una categoria di temerari, impavidi fannulloni e inguaribili amanti del rischio. Infatti, nemmeno la possibilità di perdere il posto di lavoro più sicuro che c’è, quello nel settore pubblico, e in un periodo di crisi, riesce a spaventarli fino a farli desistere, e ad accettare l’idea che restare in ufficio nelle ore in cui si è pagati dovrebbe essere il minimo.
L’unica spiegazione possibile, dopo l’ennesimo caso di dipendenti comunali che si assentano dal lavoro delegando ad altri l’onere di timbrare, emerso ieri a Biella, è che la legge sul licenziamento facile e immediato approvata la scorsa estate non sia considerata capace di incidere. Che cioè pochi in fondo ci credano, immaginando che comunque coi ricorsi come spesso accade si può risolvere tutto. Sarà il tempo a chiarirlo. Di certo il caso di Biella, dove in 33 sono indagati dalla locale procura per truffa ai danni dello Stato, peculato e falso, allunga un’ombra inquietante sulla distorta concezione del lavoro che resiste in certi ambienti e in certe persone.
Che cosa facevano? Niente di nuovo: si assentavano, uscivano senza timbrare, andavano a divertirsi o a sbrigare commissioni personali con mezzi del Comune. Al cartellino pensavano altri. Si tratta ancora di ipotesi di accusa, sebbene le prove arrivano da registrazioni video e intercettazioni telefoniche. Come a Sanremo, Varazze – i casi più recenti – o Borgotrecase, sotto il Vesuvio, dove addirittura ci si copriva il capo con scatole di cartone per non essere filmati. Ciò che continua a sorprendere, e che resiste alla minaccia del licenziamento come all’indignazione popo-lare, è l’idea di lavoro pubblico che emerge: quasi un regalo, qualcosa che spetta di diritto senza che siano contemplati oneri o sacrifici, un concetto lontano anni luce da una pur minima prospettiva di 'servizio'.
Non avventuriamoci nemmeno a parlare di lavoro come attività che gratifica, eleva, costruisce frammenti di bene comune. Vero è che in molti enti pubblici spesso gli organici gonfiati possono rendere alienante la presenza in ufficio, se di fatto non vi è nulla da fare. Ma allora quale occasione migliore di queste per un salutare sfoltimento?