Caro direttore,
la Libia, vista da Bruxelles, appare lontana. E non è una metafora geografica. È verissimo. Poi rientro a Lampedusa e la tocco con mano. Vi ricordate i missili di Gheddafi? Il mare che ci separa è sempre lo stesso. Bellissimo. Ma crudele per chi ci lascia la vita in cerca di un destino migliore.
Si legge che in queste ore la tensione, sul territorio libico, è di nuovo alle stelle. Si gioca una partita diplomatica e militare dalle conseguenze più imprevedibili: Turchia, Russia, Egitto, Francia, Stati Uniti, Arabia Saudita sono in campo. Viaggiano emissari, passano armamenti, si battaglia a parole e a colpi di cannone. Qualcuno ammonisce: se si oltrepassa un punto geografico sarà guerra totale tra chi sostiene Sarraj e chi il generale Haftar. Ho visto che anche il nostro ministro degli Esteri si è precipitato in zona per provare a tenere il punto. Francamente, non siamo messi bene. Se torno all’osservatorio di Bruxelles, noto che l’Europa dopo aver contribuito, nove anni fa, con importanti suoi Stati membri a destabilizzare la Libia, nei fatti, non ha ruolo positivo. Non possiede (e non vuole avere) efficaci strumenti d’intervento e non articola una politica estera comune degna di questo nome. Guardiamo un po’: la Francia agisce da grande potenza e pattuglia il Mediterraneo per i fatti suoi fronteggiando i convogli turchi carichi di armi, l’Italia appare smarrita avendo perduto la sua antica influenza, la Ue manda in mare una missione Irini che dovrebbe tenere fuori i mercanti di armi, ma risulta inconsistente. Proprio perché la politica estera, di sicurezza e di difesa è affidata a quel principio di unanimità che paralizza tutto. In frangenti come questo, ci sono questioni che interrogano sul senso della politica. Cioè sull’agire per modificare le cose.
Eppure siamo qui e, per esempio, ci occupiamo di rilanciare un tema molto importante, quella riforma del Regolamento di Dublino che, per adesso, fatta salva la gentile e cooperativa disponibilità di alcuni Paesi fratelli, ci impone praticamente di tenere sul nostro territorio tutti i migranti che arrivano - e ne arrivano senza neppure il salvataggio delle navi mercantili o delle Ong. E questo perché non esiste un meccanismo di redistribuzione obbligatoria dei richiedenti asilo. Se non si cancella questo impedimento, la questione migratoria non potrà avviarsi a soluzione. Esattamente come la politica estera, l’immigrazione non è sino in fondo una materia comunitaria e una politica di asilo comune esiste solo sulla carta. Per mettersi d’accordo, nonostante l’esistenza di un Alto Rappresentante pe la politica estera, c’è bisogno che nessuno governo metta il veto. Una palla al piede. Ecco perché bisogna essere più preoccupati che mai per quanto accade sul fronte di guerra libico. Sento, però, voci flebili. Mentre sento bene le voci dei migranti che, il più delle volte, si gettano in mare per sfuggire ai lager che stanno su quella sponda del Mediterraneo. Poi la testa torna in Europa. Dove si aspetta il Patto per la migrazione annunciato dalla Commissione mentre siamo in apprensione anche per il negoziato sul Recovery Fund e le altre risorse per la ripresa economica e sociale. E lo sguardo si volge anche a Roma dove una trattativa, anche strana, riguarda i cosiddetti 'decreti sicurezza'. Che restano lì, in vigore. Assurdi. Ma paradossalmente utili per scoprire, sempre più spesso, grazie all’azione d magistratura e forze dell’ordine, che tanti 'invisibili', che quei decreti hanno gettato per strada, senza diritti e senza dignità, sono a schiena china a raccogliere i pomodori per le nostre insalate e, magari, nell’ora del pranzo sono costretti a mangiare per terra perché 'sono neri'.
Europa, Libia, Italia, migranti, diritti, razzismo. Quanto lavoro c’è da fare per cambiare questo mondo!
Medico, europarlamentare Pd-Demos