La democrazia climatica avanza e può trasformare la crisi in opportunità
martedì 26 novembre 2024

«Il pianeta brucia»: con questa frase emblematica, il segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres inaugurò la Cop 28 a Dubai. Una dichiarazione potente che ha echeggiato nella consapevolezza collettiva, specialmente alla luce delle proiezioni dell’osservatorio europeo Copernicus, secondo cui il 2024 sarà l’anno più caldo mai registrato, il primo a sfiorare il limite di +1,5°C rispetto ai livelli preindustriali.

Eppure, la Cop 29 di Baku ha tradito le aspettative. Non si è registrato quel cambio di rotta invocato da molti: i Paesi ad alto reddito non hanno mostrato una reale assunzione di responsabilità per il "debito climatico" accumulato attraverso decenni di stili di produzione, di consumo e di vita insostenibili. Il finanziamento per la transizione climatica, incrementato da 100 a 300 miliardi di dollari l’anno entro il 2035, è stato accolto con delusione dai Paesi più vulnerabili. Regole più chiare per il mercato globale dei crediti di carbonio rappresentano un passo avanti, ma mancano impegni concreti per abbandonare le fonti di energia di origine fossile, né sono stati affrontati temi cruciali come i diritti umani e quelli delle donne, richiesti con forza dall’Unione Europea.

È stata una Conferenza debole, tra le meno incisive degli ultimi anni, in un momento storico in cui era ed è richiesto maggiore coraggio politico e una visione condivisa. Come sottolineato da Papa Francesco nella Laudate Deum, è urgente una riforma del multilateralismo, affinché le decisioni globali possano rispondere davvero alle sfide del nostro tempo. Lo stesso appello è stato rilanciato a Baku dal Club di Roma, con una proposta chiara: ripensare i metodi negoziali, la coerenza nell’organizzazione delle conferenze sul clima e il ruolo delle lobby fossili, che in Azerbaigian hanno contato più di 1.700 rappresentanti. Nel frattempo, ha fatto rumore l’impossibilità dei manifestanti dei movimenti per il clima di far sentire la propria voce.

A quasi dieci anni dall’Accordo di Parigi, siamo ancora lontani da un impegno multilaterale incisivo e trasformativo. I governi, ancora timorosi di affrontare scelte difficili ma inevitabili, rimandano decisioni che, nei prossimi anni, dovranno essere sempre più radicali e complesse.

Eppure, esistono semi di speranza. La Settimana Sociale di Trieste ha evidenziato una Chiesa e una società civile attente al presente, solidali con i bisogni del pianeta e dei più fragili. Molte realtà laiche e del laicato, soprattutto animate dai giovani, stanno promuovendo stili di vita più sostenibili e inclusivi. Numerose aziende si impegnano a contenere le emissioni e a rendicontare la propria responsabilità sociale e ambientale. Molte Scuole e Università sviluppano percorsi educativi per accrescere la consapevolezza climatica e di sostenibilità.

Questi processi spontanei e partecipativi necessitano, però, di maggiore riconoscimento e sostegno, soprattutto da parte di governi e istituzioni, al fine di costruire una democrazia “climatica” davvero trasformativa. Solo attraverso un rinnovato impegno politico locale e globale, radicato nella giustizia sociale e ambientale, sarà possibile trasformare il cambiamento climatico da crisi a opportunità per un futuro più giusto e sostenibile per tutti e tutte, qui come altrove, nel presente e per i futuri che saremo capaci di costruire. Assieme.

Comitato Scientifico delle Settimane Sociali dei Cattolici in Italia

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