Questa è la storia di Elisabeth nata due volte, se fosse possibile venire due volte al mondo e aprire un’altra volta gli occhi, dopo che sembravano essersi chiusi per sempre. Noi che assistiamo commossi a fatti tanto strabilianti, che fanno carta straccia di ogni logica, abbiamo soltanto una parola per definirli: miracolo, rimettendo al divino questa difficoltà di spiegarli con i ragionamenti che sono di questa terra. Elisabeth, nata due volte, è stata trovata viva tra le macerie del terremoto che sommergono Haiti. Lo stupore subito si trasforma in gioia, quando in circostanze terribili come questa tragedia si scava tra i morti e si sente ancora il battito e il respiro dei vivi. Nel caso di Elisabeth lo stupore è stato ancora più grande, perché ha soltanto 15 giorni di vita. Vuol dire – e i soccorritori con la madre Michelene hanno presto fatto il conto – che Elisabeth, quando l’isola caraibica è stata scossa dal violento terremoto, era venuta al mondo soltanto otto giorni prima. Così piccoli, i bambini nelle culle hanno addosso una coperta che li tiene al caldo; Elisabeth ha avuto su di sé per altri sette giorni, da quello della scossa, le rovine di una vita che non avrebbe potuto vivere. Come sia stato possibile, come un corpicino così piccolo sia sopravvissuto, nessuno potrà mai spiegarlo senza quella parola di cui spesso si fa anche un uso banale: miracolo, che invece dovrebbe essere riservata soltanto per quelle cose che non sappiamo spiegarci ragionando con i limiti umani. Due settimane fa, Elisabeth è nata dal grembo della madre in questa casa che, crollando, le ha fatto da culla e da coperta. Non l’ha schiacciata. Come se il male si fosse arreso davanti all’innocenza, mosso a pietà. E quando l’hanno estratta dai calcinacci e dalle rovine della quotidianità trasformata in ferri contorti e oggetti distrutti, è stato per Elisabeth come un secondo parto. Ha riaperto un’altra volta gli occhi alla vita. Forse anche il vagito è risuonato uguale: quel disperato vagito dei neonati, come quando è nata dal grembo materno e adesso dalla terra, come il tenero croco che buca il manto di neve e affiora delicato in superficie. Ai soccorritori, muti davanti all’incredibile, è parso come se da una montagna di sale infecondo nascesse una vita. Chi non ha mai avuto la ventura di trovarsi in una circostanza simile – che può essere un’alluvione, un terremoto o un maremoto, a secondo se si sia ribellato il cielo, la terra o il mare – non immagina cosa significhi una tale rinascita. Il tempo si ferma. Sono sospesi il fiato e il pensiero, e ci si consola nel pianto, perché pare quasi che una vita, quando nessuno ci sperava più, conti per un attimo più dei tanti morti che non si contano più. Questa vita ormai insperata è un miracolo perché è la speranza. Forse speranza è l’altro nome che si può dare al miracolo di fatti inspiegabili. La piccola Elisabeth ce lo dice: la vita riprende, tutto continua ed è possibile ricominciare. È quanto avviene in piccolo in una stanza d’ospedale, quando le nubi di una grave malattia diradano e pare di scorgere una piccola luce in fondo al buio, proprio come la luce che ha visto di nuovo Elisabeth. È quella guarigione, che qualcuno chiamerà miracolo, che dice a chi ha temuto di chiudere per sempre gli occhi, che gli resta ancora un scampolo di vita, da qui all’eternità.