Neppure quando aveva detto di voler rottamare la «generazione del ’68» aveva osato tanto. La «profonda sintonia» con Forza Italia – peggio: con Silvio Berlusconi in persona – che Matteo Renzi ha detto ieri di aver registrato sulla riforma elettorale è la rottura di un tabù. Di più: è lo squarciarsi del velo nel tempio del Nazareno (inteso come largo, ovviamente).
Eha provocato uno choc nella base, un senso di sbandamento per quel 'nemico' finalmente sconfitto, esiliato dal Parlamento e che proprio il segretario del Pd non solo ha cercato con insistenza, non si è limitato a incontrare quale leader della principale forza di opposizione, ma ha riportato 'pienamente' al centro della scena politica. Con una «piena sintonia», appunto. In confronto la ferita della Bicamerale di D’Alema colpita e affondata, che ancora sanguina per i militanti ex-diessini, è una sbucciatura sul ginocchio.
Quelle due parole «piena sintonia», pronunciate senza esitazione da Renzi hanno fatto finire in secondo piano persino il contenuto vero dell’intesa. Un sistema elettorale iberico 'corretto all’italiana' o un 'porcellum rivisto'? Renzi non si è sbilanciato e – con la scusa di non voler perdere il treno – ha rimandato i particolari a lunedì pomeriggio. Il fatto che non abbia scoperto subito le carte, restando sul generico, è da interpretare come un segno di apertura verso le altre forze politiche, le cosiddette 'minori' (come se qualcuno potesse prevedere chi sarà 'minore' o 'maggiore' nell’Italia di oggi e di appena domani). Come a dire: i giochi non sono chiusi. Oggi, infatti, il segretario Pd dovrebbe incontrare anche Angelino Alfano e lo spazio per un’intesa inclusiva, più ampia di un accordo a due Pd-Fi, esiste ancora. Non a caso il presidente del Consiglio Enrico Letta ha parlato di «direzione giusta», di riforme costituzionali ed elettorali «tenendo insieme le forze della maggioranza e i principali partiti dell’opposizione ». Si vedrà se sarà veramente possibile.
Per ora sappiamo che l’accordo prevede il cambio di 'destinazione d’uso' del Senato in Camera delle autonomie e la riforma della riforma del Titolo V della Costituzione. Assieme a «un sistema elettorale che assicuri la governabilità, rafforzi il bipolarismo e riduca il potere di ricatto dei piccoli partiti ». E qui, al di là delle alchimie partitiche, occorrerà evitare due grandi errori. Il primo sarebbe quello di forzare la crescita del bipartitismo, da noi del tutto innaturale. Quando si è tentata l’operazione, si è prodotta solo una maggiore frammentazione e ingovernabilità.
Il secondo e più grave errore, però, sarebbe quello di innovare il sistema mantenendo liste bloccate di candidati scelti da partiti, senza possibilità di esprimere una preferenza. Se non si ridarà agli elettori il potere di scegliere gli eletti, non solo si dimostrerà di non aver compreso il disagio dei cittadini, ma tutto il senso della riforma, del cambiamento rischierebbe di essere vanificato. È anzitutto su questo che si misura la reale volontà di cambiamento dei partiti: la prova del nove per valutare la differenza tra vecchi e nuovi leader.