Matrimoni in caduta libera (77% in meno nel periodo 2008-2013), indice di natalità tra i più bassi in Europa (1,37 figli per donna), flessione anche delle convivenze, con un crollo della disponibilità all’impegno a 'tempo parziale' che parla di una scissione allarmante tra affetti e responsabilità. E che cosa escogita il governo per indurre i giovani – che in realtà sono sempre meno giovani – a superare «la paura di sposarsi»? Un progetto di legge sui cosiddetti 'accordi prematrimoniali', in modo tale da regolare in modo chiaro le questioni patrimoniali ed eliminare la conflittualità al momento della separazione. È così bello dirsi addio quando in tasca a entrambi c’è già un modulo firmato prima del 'sì', una carta dove si elenca in modo dettagliato quello che spetta all’uno e all’altra. «Questo a me, questo a te». Tutto risolto? Siamo davvero certi che per vincere la cultura del relativismo affettivo sia sufficiente compilare in modo preventivo la spartizione del 'materiale disponibile'? Il ddl, firmato dai deputati Alessia Morani (Pd) e Luca D’Alessandro (verdiniani), sarà presentato dal governo – almeno questo è l’annuncio – non appena concluso l’iter sulle unioni civili e, a parere dei firmatari dell’iniziativa, «permetterà di avvicinarsi all’istituto del matrimonio con maggior serenità e con più libertà». Il proposito però è tutto da verificare, perché prende spunto da una convinzione comunque parziale. Nel complesso arcipelago delle cause che hanno fatto precipitare sotto quota 200mila l’anno il numero di matrimoni celebrati in Italia (erano oltre 400mila negli anni Sessanta), i timori legati a ipotetiche difficoltà sulla spartizione dei beni in caso di naufragio della relazione potrebbero risultare davvero residuali. Comprendere i motivi per cui la scelta di sposarsi si è trasformata purtroppo in opzione di minoranza dovrebbe piuttosto sollecitare analisi finalizzate ad approfondire la fragilità delle nostre politiche familiari, l’assenza di una fiscalità davvero a misura di famiglia, di progetti di edilizia popolare, di tariffe premianti per le giovani coppie, di iniziative destinate a conciliare in modo concreto e non demagogico i tempi della famiglia e quelli del lavoro. Se tutto questo non esiste, o è affidato a decisioni tanto effimere da risultare ininfluenti sul modo di pensare e di vivere, come si può immaginare di invertire una tendenza che è soprattutto culturale e simbolica, proponendo una legge sugli 'accordi prematrimoniali'? Curioso anche il proposito di rafforzare la decisione di sposarsi, rendendo più facile e meno complessa la 'via di fuga'. Ma in un Paese che ha già divorzio, divorzio breve, divorzio per via amministrativa, c’è davvero bisogno di una nuova agevolazione 'in uscita' per convincere i giovani che vale la pena tentare il percorso 'in entrata'? Non appare un po’ contraddittorio indicare da una parte la positività di una scelta in cui l’amore dovrebbe lasciarsi alla spalle la leggerezza del provvisorio per sintonizzarsi sulle onde dell’impegno e della coerenza e, dall’altra, indicare la strategia perché tutto finisca in modo indolore, soprattutto per il portafogli? Davvero si può ridurre la bellezza e la forza di un amore che dovrebbe costruire futuro per la coppia e per la società a un problema contabile e a una precarietà ben regolata? Le domande si rincorrono e si accavallano. E tutti – a partire da chi governa e fa le regole – dovremmo farci inquietare da esse. Anche perché una legge con cui «si concorda in anticipo l’eventuale fine del matrimonio», sembra teorizzare un impegno 'a tempo determinato' in totale dissonanza con la dottrina sull’indissolubilità matrimoniale e quindi inaccettabile e impercorribile per chi sceglie il matrimonio concordatario. Per il diritto canonico, la clausola 'Casomai' deve rimanere il titolo di un film (bello, vero, duro) e non può diventare la prassi per un impegno con riserva che rende di fatto nullo un matrimonio ancora prima di arrivare al 'sì'. Ostacolo insormontabile per i cattolici, ma inciampo culturale non così marginale anche per una scelta laica (o diversamente motivata sul piano religioso), ma comunque segnata da serietà, rispetto e responsabilità.