mercoledì 7 settembre 2022
Le prospettive richiedono maggiori investimenti nell’assistenza domiciliare, migliori politiche attive per i lavoratori senior, più aiuti economici per le famiglie con persone non autosufficienti
Prendersi cura degli anziani: tre sfide per l'Italia che invecchia
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Il mondo sta invecchiando e l’Italia è uno dei paesi che invecchia più velocemente. Il tema non appassiona particolarmente i partiti politici impegnati nella campagna elettorale. Alcuni programmi rimandano ai risultati emersi dalla Commissione Paglia e alla necessità di dare una risposta ai bisogni degli anziani. Altri puntano sulla riforma delle Rsa nell’ambito della riorganizzazione del Ssn. Infine c’è chi propone di istituire la figura di un 'Garante dei diritti della Terza età' o addirittura di un ministero per la Terza età. In molti casi, gli anziani e il problema dell’invecchiamento non vengono menzionati. Eppure, secondo l’Organizzazione mondiale per la sanità, l’aspettativa media di vita a livello globale dal 2000 al 2019 è aumentata di oltre 5,5 anni, l’aumento più rapido verificatosi dal 1960.

In ambito Ue, prima della pandemia, l’Italia era al primo posto in termini di speranza di vita alla nascita, pari a circa 81 anni per gli uomini e 86 per le donne. Siamo invece all’ultimo posto in Europa per la fecondità, in Italia nel 2021 il numero medio di figli per donna è pari a 1,3, mentre le nascite – come testimoniato recentemente dall’Istat – hanno raggiunto il minimo storico di 399mila all’anno, rispetto a più di un milione negli anni del baby-boom. I cambiamenti della struttura per età della popolazione, che derivano appunto dal combinato disposto di maggiore longevità e minore fertilità, portano con sé numerose sfide. La prima sfida è quella della diminuzione della popolazione in età da lavoro rispetto alla popolazione totale, con il contestuale peggioramento del tasso di dipendenza giovanianziani che mette a rischio la sostenibilità dei sistemi di welfare, in particolar modo i servizi diretti alle fasce più fragili della popolazione. La seconda sfida è quella dello spostamento in avanti delle tappe che caratterizzano i percorsi di vita delle persone, come ricordato in un Rapporto dell’Ocse (“Live longer, Work longer”) vivere più a lungo implica necessariamente anche lavorare più a lungo. La terza sfida, e più attuale, riguarda la spesa sanitaria che in tempi di inflazione crescente significa che una quota maggiore del bilancio (pubblico e privato) andrà a sostenere la spesa per la sanità della popolazione più anziana. In questo contesto, sebbene l’attenzione dell’opinione pubblica si sia concentrata quasi esclusivamente sugli effetti dell’inflazione importata sul costo dell’energia per le famiglie italiane, presto anche la dinamica della spesa sanitaria entrerà a pieno titolo nel dibattito pubblico.

Analizziamo nel merito queste sfide, tenendo bene presente che di fatto il reddito disponibile delle famiglie a fronte dell’inflazione crescente vede una progressiva erosione rispetto al livello del 2020. La questione della cura degli anziani è centrale per il futuro del nostro welfare e, dopo i difficili anni di pandemia, necessita di un’attenzione particolare da parte dell’azione del nuovo Governo che uscirà vincente dalle elezioni. Da tempo le famiglie chiedono servizi che consentano agli an- ziani non-autosufficienti di restare il più a lungo possibile nell’ambiente domestico, potendo contare su un’assistenza domiciliare qualificata. Nel corso dei prossimi anni sono previsti una serie di provvedimenti finalizzati alla definizione di livelli essenziali delle prestazioni per gli anziani. Nel Pnrr sono state inserite importanti misure e risorse a sostegno della non autosufficienza. Tuttavia, da una parte c’è chi vuole ridiscutere il Piano, dall’altra c’è il rischio che le riforme previste siano fin troppo ambiziose e che, al di là delle risorse per i servizi domiciliari e l’istituzione delle Cot (centrali operative di coordinamento con gli altri servizi sanitari e la rete di emergenza), in assenza dei decreti attuativi, la riforma porti ad un nulla di fatto, lasciando l’assistenza domiciliare così com’è.

La questione della diminuzione della popolazione in età da lavoro e della necessità di prolungare la vita lavorativa degli individui sono questioni poco presenti nel dibattito pubblico in Italia, più attento agli interventi di riforma delle pensioni. Tuttavia, in seguito alla riduzione della numerosità delle coorti più recenti, gli ingressi dei giovani nel mercato del lavoro sono sempre più esigui e, nei prossimi anni, in Italia ci saranno 1,5 lavoratori su cinque in meno. Si tratta di una riduzione senza precedenti, molto più forte che nel resto d’Europa e con potenziali implicazioni di lungo periodo sulla capacità delle imprese di reclutare e formare il personale. Le politiche di gestione delle risorse umane hanno finora principalmente subìto gli effetti della transizione demografica piuttosto che anticiparne gli effetti modificando i modelli di gestione del personale per garantire il necessario turnover della manodopera. Tuttavia gli effetti del mismatch tra le esigenze di reclutamento delle imprese e la disponibilità sul mercato del lavoro di competenze adeguate alle nuove sfide che le tecnologie 4.0 richiedono, sono già evidenti e numerose imprese lamentano l’impossibilità di reclutare giovani con competenze Stem per rimpiazzare i lavoratori che escono. L’attenzione è concentrata quasi esclusivamente sulle nuove regole di pensionamento anticipato, mentre restano in ombra le politiche “attive” per l’invecchiamento, cioè tutte quelle misure che servono ad incentivare la partecipazione dei lavoratori e delle lavoratrici al mercato del lavoro fino all’età del pensionamento. Il programma di “Garanzia per l’Occupabilità dei lavoratori” intende mettere a sistema le migliori esperienze maturate a livello regionale e superare l’eterogeneità dei servizi erogati su tutto il territorio nazionale, tuttavia dice poco o nulla sul prolungamento delle carriere dei lavoratori senior in azienda e l’integrazione tra la gestione delle risorse umane nel settore privato e le politiche attive del lavoro dell’operatore pubblico.

L’ultimo tema, ma solo in ordine di tempo, riguarda gli effetti dell’inflazione sulla spesa sanitaria. Negli ultimi 20 anni, anche a fronte di una sostanziale stagnazione dei prezzi dei beni, i prezzi dell’assistenza sanitaria hanno continuato a crescere a tassi del 2-3% (3% visite specialistiche, fino al 4,4% dei servizi paramedici), è quindi ragionevole assumere che presto l’inflazione andrà ad intaccare anche la capacità di spesa delle famiglie, soprattutto quelle in cui sono presenti anziani con malattie croniche o necessità di assistenza. Il meccanismo di trasmissione ai bilanci delle famiglie è duplice: da un lato l’aumento della spesa pubblica per la sanità grava sul debito pubblico e sulle tasse, dall’altro pesa sempre più la quota di spesa privata a carico delle famiglie. Infatti, come testimoniato dal Censis, a causa dei ritardi accumulati nell’accesso alle prestazioni sanitarie e il conseguente allungamento delle liste di attesa, un italiano su due non prova neppure ad interagire con il sistema sanitario nazionale. L a grande sfida all’inflazione si gioca quindi sul piano della riorganizzazione del Ssn, sulla ricerca di una maggiore efficienza ed accessibilità dei servizi di assistenza per gli anziani. I costi dell’invecchiamento che restano a carico delle famiglie devono essere contrastati con una maggiore prevenzione, con un’assistenza di qualità e con una rete di servizi che cambi totalmente la prospettiva mettendo l’anziano al centro. La bozza di provvedimento per il potenziamento dell’assistenza territoriale (il cosiddetto Dm 71) presenta diversi aspetti che, se attuati, potrebbero migliorare il rapporto costi-benefici a vantaggio di questi ultimi. A fronte degli ingenti investimenti previsti dal Pnrr, la non semplice messa a terra di questi provvedimenti deve essere considerata una priorità assoluta per i prossimi anni.

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