«Prego perché alle mie Vittime capiti quello che Dio ha voluto dare a me: il Suo sguardo buono, la Sua presenza rasserenante.
Fino all’abbraccio definitivo che aspetto con trepidazione».
Queste parole ci scriveva nel Natale 2009 Marino Occhipinti, ergastolano al carcere di Padova, raccontandoci lo squarcio che Cristo aveva aperto nella sua disperazione. Sulla coscienza portava l’omicidio di Carlo Beccari, guardia giurata uccisa durante una rapina, eppure parlava al plurale di 'Vittime' (con la v maiuscola), perché la banda della Uno Bianca aveva ucciso ventiquattro volte. E perché vittime non sono solo i morti, ma ancor più i loro cari, rimasti a soffrire in un’esistenza che, anche con mille ergastoli, non guarirà le loro ferite né basterà a fare giustizia. Delitti tutti efferati, a sangue freddo e mente lucida, spietati, ancora più odiosi perché cinque tra i sei della banda erano poliziotti alla questura di Bologna, tutori dell’ordine, difensori dei deboli. La divisa che di giorno vestivano come uomini di giustizia, la notte si imbrattava del sangue dei giusti, colpevoli solo di stare dalla parte del bene. Come Otello, Mauro e Andrea, i tre Carabinieri freddati ventun anni fa nell’«eccidio del Pilastro».Veniva da una famiglia contadina dai sani princìpi, Marino Occhipinti, fiera della strada intrapresa dal figlio poliziotto, ma poi da quella strada lui aveva deviato. È a quest’uomo che, dopo diciassette anni di carcere, ora i giudici hanno concesso la semilibertà: tra qualche settimana, di giorno uscirà per lavorare, la notte farà rientro in cella. Giusto? Sbagliato? Ogni volta che Caino prova a rivestire i panni di Abele e a imboccare di nuovo la strada abbandonata, il nostro cuore ha un sussulto. Il diritto – incontestabile – delle vittime a non darsi pace sembra annullare il diritto dei carnefici a redimersi. Se non piegano le ginocchia nel chiedere perdono, la loro tracotanza ci indigna, se lo fanno ci indigna la loro pretesa.
Chiediamo a gran voce che deprechino la loro disumanità, ma se diventano uomini nuovi sosteniamo che non ne hanno il diritto. Il loro delitto, insomma, li descrive e non c’è spazio per altro. «Deve marcire in carcere», piangeva ieri dalla sua carrozzina l’anziano padre della sua vittima, invecchiato in solitudine. «Sua mamma lo vorrebbe riavere a casa? Io darei la mia vita per rivedere anche solo una volta mio figlio», aggiungeva la madre di un carabiniere ucciso, e di fronte al loro strazio nessuno ha il diritto di replicare, tantomeno chi lo ha provocato. Ma l’eterno problema della colpa e dell’espiazione si ripresenta ogni volta che il carcere ha davvero svolto la sua funzione di ravvedimento e noi, che dovremmo gioire del successo, non ne abbiamo il coraggio e la coerenza: «Se chiediamo che il criminale non venga giustiziato – provava a spiegare già mille e settecento anni fa sant’Agostino – non è perché ci piaccia il crimine, ma quanto più il vizio ci ripugna, tanto più desideriamo che il colpevole non muoia prima di correggersi». Per i credenti lo richiede l’intera vita di Cristo, venuto a morire per salvare anche il più abietto di noi, per tutti gli altri lo esige una società civile che, per natura, tende sempre al bene: se il proprio figlio cambia, qualsiasi genitore è contento, la rieducazione di chi sbaglia è scritta nel Dna del nostro essere uomini, non solo cristiani.Il Vangelo ci parla del figlio prodigo, festeggiato perché perso e poi ritrovato, la Costituzione del recupero come obiettivo per ogni cittadino. E il dolore delle vittime non confligge con tutto questo, anzi, in qualche caso proprio nel pentimento del carnefice trova quella requie che l’odio certamente non concede. Ora che secondo la giustizia italiana Occhipinti ha diritto alla semilibertà, per una madre, la sua, che aspetta il ritorno del figlio ce ne sono altre che quel figlio non lo vedranno più tornare, ma nei panni di quale vorremmo essere? La madre dell’assassino o della vittima innocente? «Tuo fratello era perduto ed è stato ritrovato», spiega nel Vangelo al primogenito il padre del figlio prodigo, ammazzando per lui il vitello grasso. Nati dagli stessi genitori, si può scegliere il bene o invece il male, chiamarsi Abele o Caino. Anche Occhipinti ha un fratello, e anche lui poliziotto. La sua divisa è rimasta immacolata.