Il Regno del Marocco è rientrato nell’Unione africana (Ua) il 30 gennaio scorso con 39 voti favorevoli su 54. Un avvenimento di portata storica, ma dagli esiti incerti: sono in molti a temere che una nuova fiammata di rivalità fra Marocco e Algeria finisca con il danneggiare il progetto unitario continentale. Dal punto di vista di Rabat, anni di paziente lavoro diplomatico hanno dato i loro frutti. Migliaia i trattati, i memorandum d’intesa, i contratti siglati dal Paese nordafricano dal 2000 ad oggi, seguendo un’inedita direttrice verso Sud. «Bello il giorno in cui si torna a casa», ha esordito il monarca Mohammed VI rivolgendosi alla plenaria Ua con evidente emozione. E si può immaginare anche con grande soddisfazione, visto che al Marocco, per il reintegro, non è stato imposto di cedere sulla contestata occupazione del Sahara Occidentale: eppure l’ex colonia spagnola proclamatasi Repubblica democratica araba dei saharawi (Rasd) nel 1975 è riconosciuta dall’Unione africana (non così dalle Nazioni unite e dalla Lega araba, ndr).
La guerriglia del Fronte Polisario, il movimento simbolo dell’indipendentismo saharawi contro le forze marocchine, è cessata all’inizio degli anni ’90 grazie all’intervento delle Nazioni unite, che ha 'strappato' a Rabat la promessa di un referendum per l’autodeterminazione della regione ribelle. Una consultazione che non si è tenuta, mentre la missione Onu Minurso è stata finora prorogata. Neanche adesso che Rabat è ritornata 'in pista' (l’uscita dall’istituzione è del 12 novembre 1984, quando appunto l’Unione africana riconobbe la Repubblica saharawi) si prevedono aperture immediate: il ministro Nasser Bourita, responsabile degli Esteri, si è affrettato a sostenere che «il Marocco non accetta e non accetterà mai l’indipendenza dell’entità fantoccio denominata Repubblica araba democratica saharawi». È vero che, dopo intensi negoziati con il segretario generale dell’Onu Antonio Gutierres, le truppe marocchine hanno recentemente lasciato la zona cuscinetto delle Nazioni unite nel Sahara occidentale; si sa però che l’ala più oltranzista degli Esteri marocchini vuole giungere a una sospensione della Rasd dall’Unione africana entro il 2020.
«L’ ingresso (del Marocco) parte da un compromesso accettato da entrambe le parti – spiega Bernardo Venturi, ricercatore esperto di Relazioni internazionali e Africa subsahariana dell’Istituto Affari internazionali (Iai) di Roma –. Il Sahara Occidentale è dentro l’Unione e questo è un chiaro fallimento per il Marocco». Un fallimento mascherato sostenendo che anche l’Iran non riconosce lo Stato di Israele, eppure entrambe le nazioni fanno parte dell’Organizzazione delle Nazioni unite. «Però il bicchiere è anche mezzo pieno per Rabat, che non ha pagato neanche il prezzo del referendum», sottolinea lo studioso. Tutti semi-contenti dunque? Tutt’altro. La Repubblica sudafricana, da sempre a fianco dei saharawi, non ci sta. Il Congresso nazionale africano, partito di maggioranza a Pretoria, ha definito la decisione dell’Ua 'deplorevole' poiché «tacitamente legittima l’occupazione di vecchia data del Sahara Occidentale». Ma soprattutto, c’è il rischio di «ampliare le divisioni e ridurre l’efficacia dell’Unione africana». Della stessa opinione l’Angola e altre nazioni australi, che citano il naufragio dell’Unione dei Paesi del Maghreb (Marocco, Algeria, Tunisia, Libia e Mauritania) provocato proprio dal braccio di ferro fra i primi due.
Quanto alle relazioni con l’Algeria, ufficialmente il solco politico è sclerotizzato, ma nel tempo Algeri ha ridotto il sostegno finanziario e logistico al Polisario, pur continuando ad ospitare campi profughi saharawi. La rivalità, ad oggi, pare più economica e spazia dalle relazioni con l’Unione europea a quelle con la Lega araba, dai contatti con gli Usa a quelli con Iran, Russia e Cina. E interessa pure l’ambito spirituale: Algeri rinfaccia a Rabat di imporre i propri imam – con relativa interpretazione del credo islamico – alle diaspore arabo-musulmane di Francia e Belgio. Il sovrano marocchino, ritenuto diretto discendente della famiglia del profeta Maometto, ha anche un ruolo religioso nella comunità islamica in qualità di Guida dei credenti. A buon titolo, dunque, potrebbe voler far sentire la propria voce 'moderata' in tutto il continente, tormentato da frange islamiche jihadiste.
Poi, ci sono altre ragioni ancora per prevedere un certo terremoto politico africano. L’alleanza privilegiata del Marocco con Stati uniti d’America e Francia non piace alle nazioni che sognano un continente nero il più possibile sganciato dalle influenze post-coloniali: il Ciad, ad esempio, è il capofila di una battaglia per l’indipendenza economico-finanziaria dal Franco Fca (Franco delle colonie francesi d’Africa). N’djamena, in ascesa nell’area francofona africana per carisma, potrebbe non gradire il posizionamento pro-Parigi che la diplomazia marocchina ha assunto con sempre maggiore convincimento. Rabat non solo collabora a livello di intelligence con Washington e Parigi per contrastare i fenomeni radicali, ma vede di buon occhio anche l’intervento militare dei due alleati nei diversi teatri di crisi del Sahel.
Inoltre, è anche la spartizione delle aree di influenza economica che potrebbe generare tensioni pungenti. Le prime donne del continente, potenze 'energetiche' o 'minerarie' come Nigeria, Etiopia, Sudafrica, dovranno fare i conti con un Marocco rampante: si ricordi il boom delle esportazioni di prodotti elettronici e tecnologici, dello sviluppo degli impianti energetici da fonti rinnovabili, della comparsa di nuovi porti commerciali marocchini sul Mediterraneo e sull’Oceano. Argomenta il politologo dello Iai: «Il fatto è che, alla lunga, avere nel 'club' il Paese nordafricano più stabile, in crescita nella regione per influenza politica ed economica, è più vantaggioso che penalizzante per l’Unione africana. Credo che riammettere il Marocco sia stata una scelta lungimirante. E soprattutto, se l’Ua riuscirà a risolvere la questione Rasd internamente, senza l’Onu, sarà un grosso successo diplomatico».
Per i sostenitori di Rabat, quindi, il ritorno marocchino aprirà nuove possibilità di sviluppo. E se a generare posti di lavoro nel grande continente fossero aziende marocchine e non 'extra-continentali'? In Tanzania, Kenya, Ruanda gli imprenditori marocchini potrebbero presto avere la meglio su quelli occidentali, a giudicare dalla frequenza delle missioni di sistema del Paese arabo nella zona. Rabat intende fare sul serio, insomma, giocando una partita di alto livello: in proposito, si legge sulla stampa francofona, è imminente l’invio di una delegazione marocchina permanente di dirigenti, esperti e diplomatici ad Addis Abeba presso la sede dell’Unione.
E tra i nomi che circolano per il posto di capo delegazione del Marocco figura quello di Ahmedou Ould Souilem, riferisce il quotidiano Akhbar al-Yaoum. Già ambasciatore marocchino in Spagna, Ould Souilem è un saharawi, ma non uno qualsiasi. Militante come tutta la sua famiglia, esperto di diritti umani e Sahara, è stato ai vertici del Fronte Polisario ed è rientrato in Marocco dal campo algerino di Tindouf, dove viveva, nel 2009. Per alcuni traditore della patria, per altri politico di esperienza, Ould Souleim potrebbe diventare il protagonista della svolta, in un contenzioso che tiene in ostaggio non solo il popolo saharawi e i suoi vicini, ma l’intero continente.