sabato 18 agosto 2012
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Si è spento in un ospedale di Addis Abeba, Abuna Paulos, il Patriarca della Chiesa Ortodossa Tewahedo ("unitaria") di Etiopia. Figura non molto nota nella nostra opinione pubblica, è stato, in realtà, un grande leader religioso, guida spirituale di una delle maggiori Chiese cristiane. La Chiesa ortodossa etiopica, infatti, vanta più di quaranta milioni di fedeli, in Etiopia e – per i molti immigrati – negli Stati Uniti, in Canada e in Europa. È una Chiesa che si sente legata alla storia del popolo ebraico: la loro tradizione la fa risalire al battesimo del funzionario della regina di Etiopia da parte di Filippo, come narrato negli Atti degli Apostoli. L’Etiopia rappresenta l’unico caso di cristianesimo "africano" autoctono di antica tradizione e di diretta derivazione apostolica. In ogni caso, la Chiesa etiope ha radici antiche, nel III-IV secolo. Ha una tradizione liturgica particolare, segnata da reminiscenze dell’ebraismo. È una Chiesa africana, di popolo, forte della sua tradizione monastica e segnata dalla profonda devozione della sua gente. Ancora oggi, la domenica, è impressionante vedere la folla vestita in ampi mantelli bianchi, accalcarsi dentro e attorno alle caratteristiche chiese dalla forma rotonda.Si tratta di una Chiesa di martiri, anche nel Novecento. Durante il regime fascista, molti suoi esponenti furono incarcerati e uccisi. Tra questi, il patriarca, Abuna Petros, fucilato nel luglio del 1936. Particolarmente brutale fu la strage, frutto di una rappresaglia, ordinata dal generale Graziani, nel monastero di Debre Libanos, culla della spiritualità etiopica, dove morirono oltre duemila tra monaci e diaconi. Alla fine degli anni Settanta, la caduta dell’ultimo "imperatore cristiano" dell’età moderna, il Negus Haile Selassie, aprì la strada alla sanguinosa rivoluzione del Derg e al regime filo-comunista di Menghistu. Durante la sua dittatura, che si prolungò per oltre un decennio, la Chiesa fu perseguitata e sottoposta a tentativi di "addomesticazione".La biografia di Abuna Paulos si intreccia con il dramma della sua Chiesa in quegli anni. Giovane monaco, formatosi teologicamente ad Addis Abeba e poi negli Stati Uniti, nel 1976, l’anno della caduta del Negus, fu fatto vescovo e richiamato in patria dal patriarca Tewophilos. Quest’ultimo, leader innovatore e molto attivo, pagò con la morte il rifiuto di piegare la Chiesa e la sua indipendenza ai diktat di Menghistu. Molti vescovi, tra cui Paulos furono imprigionati, in regime di carcere duro. Paulos vi rimase fino al 1983, quando fu costretto all’esilio. Tornò negli Stati Uniti, dove organizzò la locale Chiesa etiope composta di emigrati e rifugiati, facendo costruire nuovi luoghi di culto. Qualche anno fa mi ha confidato: «Il carcere è stato la mia chiesa e la mia scuola di predicazione». Con il ritorno alla democrazia, Paulos rientrò in Etiopia e fu eletto Patriarca nel 1992. Gli anni del suo governo sono stati di rinascita spirituale e organizzativa per la Chiesa. Molte proprietà sono state riacquisite, gli studi teologici riformati. Si è aperta una nuova stagione di dialogo ecumenico e di relazioni con le Chiese sorelle. È stato copresidente del Consiglio Ecumenico delle Chiese dal 2006 e ha partecipato per sette volte agli incontri di preghiera per la pace nello Spirito di Assisi organizzati da Sant’Egidio.Benedetto XVI, nel suo messaggio di cordoglio alla Chiesa etiope, ha ricordato la sua commovente testimonianza al Sinodo dei Vescovi sull’Africa nel 2009. Paulos è stato anche protagonista della storica riconciliazione con la Chiesa copta d’Egitto, dopo un lungo periodo di gelo, seguito allo "scisma". Con Abuna Paulos scompare un grande cristiano africano. La sua fede forte, nutrita dalla Scrittura e dalla testimonianza dei santi della Chiesa d’Etiopia, forgiata nella sofferenza, si coniugava con una personalità singolarmente gioviale, umile e amica. Mancherà all’Africa e a tutto il mondo cristiano.
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