La parola di papa Francesco arriva come balsamo sulle ferite aperte e sanguinanti. Le domande che si pone il Pontefice nell’omelia di lunedì a Santa Marta sono le stesse che ci vengono poste migliaia di volte: «Perché Dio permette il male ? Perché non interviene? Perché l’ empio sembra trionfare mentre il giusto sembra soccombere?».
LEGGI LE PAROLE DEL PAPADio dove sei? È il grido che dall’umanità sofferente arriva fino al cielo. E lo squarcia. Occorre ammettere che le risposte pensate dalla sapienza umana non soddisfano. La sola che può consolare il cuore è che Dio stesso ha sofferto. La croce è il momento più alto dell'incarnazione. Sulla croce vediamo l’amore allo stato puro. Negli uomini l’amore è sempre impastato con un pizzico di egoismo. Dio non ama. Dio
è l’amore. E noi quanto più ci accostiamo a questo amore tanto più impariamo ad amare come ha amato lui. Chi ama non mente. Non inganna. Non cerca il suo interesse. Chi ama non fa mai male al prossimo. Al prossimo che vede e a quello che non vede. Al prossimo suo contemporaneo e a quello che verrà in futuro. Chi ama preferisce soffrire piuttosto che far soffrire. Il mondo ha bisogno di imparare ad amare. E la croce è l’unica maestra dell’amore. Il Papa chiama “valli oscure” i mille sentieri della sofferenza. E quando ci si trova ad attraversarle, queste valli, si vacilla. Si sbanda. Si perde l’orientamento. Si barcolla. Si cade. A volte con il rischio di non rialzarsi più. Il dolore umano deve rimanere al centro della riflessione della vita. E anche quando non è possibile eliminarlo sempre ci è dato di attutirlo. Di lenirlo. Di assumerlo. È bello che chi soffre senta vicino al suo letto di dolore il vicario di Cristo. Un barbone morto in una grande città non fa notizia. Al massimo un trafiletto su qualche quotidiano. Un barbone non ha chi lo cerca, chi lo piange. È bello che Francesco abbia ricordato al mondo il fratello senzatetto morto di freddo nella capitale. Una preghiera certamente, la sua. Ma anche un invito a tutti, credenti e non credenti, politici e amminsitratori comunali, a fare un serio esame di coscienza: «Abbiamo fatto quanto era nelle nostre possibilità perché questi fratelli avessero un tetto e un pezzo di pane da mangiare?». Il Papa ha ricordato le suore di madre Teresa trucidate nello Yemen. Piccole – immense donne che hanno pagato con la vita la missione di assistere ed amare i fratelli più poveri. Donne consapevoli del pericolo che correvano. Anime consacrate, innamorate di Cristo povero nascosto nei fratelli poveri. Purtroppo il martirio di queste eroiche sorelle è passato quasi sotto silenzio. Sembra che anche davanti alla morte i condizionamenti ideologici e le linee politiche si facciano sentire. Un anno fa tutti fummo orgogliosi di essere “Charlie”. Ed era giusto. Là dove un innocente, amante della libertà e della democrazia, muore debbono raccogliersi coloro che nella libertà e nella democrazia credono. Un anno dopo, però, un silenzio assordante ha avvolto il lamento che veniva dallo Yemen. Quasi nessuno ha incitato i giusti a essere “suore di madre Teresa”. Ma, lunedì, Francesco ha avuto parole anche per le “vittime della terra dei fuochi”.
Anche di noi il Papa si è ricordato. E questo ci ha riempito di gioia. Non siamo soli. Non siamo stati dimenticati. Dopo il boom mediatico degli anni passati, il dramma di questo territorio a cavallo delle province di Napoli e Caserta sembrava essere caduto nell’ oblio. Naturalmente, non è così. I volontari, i movimenti, i medici per l’ ambiente, la Chiesa campana, come sentinelle attente vegliano sulla loro terra e sulle persone che la abitano. Continuano a fare il loro dovere. Proprio lunedì, presso il tribunale di Napoli, si è svolto un importantissimo convegno sulla “Terra dei fuochi”. Vi hanno preso parte magistrati e avvocati. Medici e giornalisti. Politici e volontari. La Chiesa campana era rappresentata dal sottoscritto. Brani dell’encicliaca “Laudato si”, riecheggiavano in tanti interventi. Il Papa ha ricordato i “tumori della Terra dei fuochi”. Purtroppo sono veramente tante le persone, anche in giovanissima età, che continuano ad ammalarsi e a morire nel nostro territorio. Questa battaglia la vinceremo solo stando uniti. Ricordando, come ci ricorda l’enciclica, che “non ci sono due crisi, una ambientale e un’altra sociale, bensì una sola e complessa crisi socio-ambientale”. Questa crisi socio-ambientale occorre combattere e debellare per il bene di tutti.