“Canzoni alla radio” era il titolo di un brano di qualche anno fa cantato dagli Stadio. E in effetti, da quando Guglielmo Marconi l’ha inventata, anche a questo è servita la radio. Ad ascoltare canzoni, d’amore soprattutto. Per i nostri nonni era Parlami d’amore Mariù. Per i nostri genitori Sapore di sale, per noi boomers Battisti, Baglioni e gli altri cantautori. Per i nostri figli quando va bene Ultimo, quando è così così i testi “feroci” di rappers e trappers. Lo ha detto anche il Papa, nella catechesi di oggi, mercoledì 17 gennaio: «Buona parte delle canzoni che si ascoltano alla radio riguardano questo: amori che si illuminano, amori sempre ricercati e mai raggiunti, amori carichi di gioia, o che tormentano fino alle lacrime». Francesco stava illustrando la grande differenza che passa tra l’amore vero, che è servizio, rispetto dell’altro, donazione di sé, e le sue distorsioni, lussuria e pornografia, che invece “cosificano” le persone, le fanno diventare oggetto di voracità e di dominio. In sostanza contribuiscono a mutare «in relazioni tossiche, di possesso dell’altro, prive di rispetto e del senso del limite» i rapporti interpersonali. Con gli esiti tragici che la cronaca documenta quasi ogni giorno.
Ma proprio il riferimento alle canzoni offre uno spunto di riflessione. Qual è la visione dell’amore che passa attraverso i testi delle cosiddette canzonette? Come viene trattato il tema della sessualità? E qual è l’impatto che la grande diffusione di questa forma artistica ha sul modo di pensare dei giovani e, perché no, anche degli adulti? Il discorso in realtà travalica la musica leggera per estendersi a tutte le forme di narrazione, oggi altrettanto diffuse. Il “vecchio” cinema e le “nuove” serie tivù. Il teatro, i romanzi, i fumetti, le graphic novel, persino a volte le docufiction, insomma l’intera filiera di prodotti di intrattenimento che sono spesso forieri di una sorta di “catechesi” alternativa attraverso cui sono stati sdoganati concetti e vissuti fino a qualche decennio fa quasi tabù. Gli stessi dogmi del politically correct sono passati nella mentalità comune attraverso questi canali di comunicazione. Tanto per fare un esempio che ci riporta alle canzoni e all’argomento della catechesi del Papa, ormai da diverso tempo in molti testi l’espressione “fare l’amore” è stata quasi del tutto sostituita da un’altra locuzione: “fare sesso”. Ma i due modi di indicare l’oggetto dell’attività sessuale non sono esattamente sinonimi. Anzi.
Allora, prendendo sul serio l’insegnamento di papa Francesco, la pervasività degli strumenti di narrazione corrente e l’importanza della posta in palio, specie in un periodo in cui abbiamo potuto constatare quanto devastante sia la forza di certi media, a cominciare dai social, non sarebbe forse il caso di lanciare l’idea di una alleanza educativa che coinvolga – insieme alle normali agenzie di formazione: famiglia, scuola, parrocchia, associazionismo – anche i creatori di questi contenuti multimediali? Non per esercitare odiose forme di limitazione (o peggio ancora, di controllo) dell’espressività artistica, ma come assunzione di responsabilità di tutti e di ognuno. Ormai non basta più il "vietato vietare". La complessità della vita è tale che è sempre più necessario pensare oltre. Alle conseguenze che la propaganda di un uso distorto della sessualità attraverso i mass media vecchi e nuovi può produrre, soprattutto nei giovani, quando ad esempio si sgancia il sesso dall’amore e l’amore da una relazione stabile e duratura (possibilmente per sempre) e aperta alla vita.
Edoardo Bennato, negli anni ’80 cantava ironicamente “Sono solo canzonette”. Lo sapeva lui allora e lo sappiamo ancora di più noi vari decenni dopo. Non sono solo canzonette, non sono solo fiction, romanzi, film, fumetti. Sono specchi della visione della vita e degli altri, dei rapporti interpersonali, delle questioni sociali e politiche. E vanno maneggiati con cura. Soprattutto quando riguardano la sessualità, che - ricorda il Papa - «ha una voce potente». Si potrebbe cominciare evitando, ad esempio, da parte di chi quei contenuti li pensa, di incitare alle trasgressioni più pericolose. E da parte di chi li giudica, di elevare lodi sperticate alla “creatività” di certi autori. Altrimenti l’impressione è che continueremo a occuparci dei sintomi, senza mai intaccare le cause profonde di fenomeni tragici che costano tante vite.