Per la prima volta nella storia dei Giochi olimpici a gareggiare in diverse discipline ci sarà una delegazione di rifugiati, rappresentanti di quella moltitudine di persone, oltre 65 milioni che si trovano nella condizione di aver dovuto lasciare la propria casa a causa di guerre, dittature, persecuzioni, gravi crisi ambientali.
Un atto simbolico importante, bello, che pone l’attenzione su un dramma che attraversa ormai la nostra quotidianità. La fiamma olimpica accesa dall’ultimo tedoforo, forse illuminerà anche questa zona, a tratti buia, della nostra storia contemporanea. Un segnale di speranza per quanti sono convinti che sia importante conoscere le storie dei rifugiati, andare oltre le logiche dei numeri e dell’emergenza e provare a vedere nei volti dei migranti una possibilità di riscatto delle nostre società, una nuova declinazione di futuro fatto di inclusione, solidarietà e convivenza di religioni, culture e tradizioni.
La squadra dei rifugiati gareggia in un’estate drammatica per il numero di vittime dei naufragi nel Mediterraneo. Le agenzie specializzate registrano un incremento del 35% rispetto all’anno precedete a fronte di un numero di arrivi sulle nostre coste pressoché invariato. I giovani olimpionici rifugiati sono le vittime di un presente tanto ingiusto, ma incarnano un sogno di riscatto per le loro famiglie lontane, per i loro Paesi martoriati ma sono anche coscienza e memoria per tutti noi che con sempre più difficoltà e meno interesse facciamo caso a quel contatore inarrestabile di vite spezzate da viaggi mortali. Sono loro quegli anelli della bandiera olimpica che ci aiutano a tenere insieme i popoli perché hanno attraversato l’odio, la guerra, la persecuzione e non ne sono stati schiacciati. Sono la gioia di essere giovani, di condividere con i ragazzi di tutto il mondo l’amore per lo sport. Sono finalmente liberi di fare: correre, saltare, nuotare come dovrebbe esser per ogni giovane nel mondo, ma soprattutto sono liberi di essere loro stessi.
Le Olimpiadi, con la loro presenza siano occasione per rimettere al centro delle politiche internazionali valori inalienabili con il diritto alla vita e alla libertà. La loro presenza possa essere durante tutti i giochi e per il futuro simbolo di un’integrazione possibile. Siano testimonial di società inclusive e solidali.
I rifugiati olimpici sono scappati da Paesi gravemente instabili e oggi gareggiano perché ciascuno di noi guardi ai rifugiati con una nuova consapevolezza e con quel senso di umanità e giustizia che fermi una volta per tutte la strage silenziosa di essere umani a cui non ci possiamo rassegnarci.
*presidente del Centro Astalli
Servizio dei Gesuiti per i rifugiati in Italia