mercoledì 17 agosto 2016
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La doccia fredda della crescita zero del secondo semestre desta più di una preoccupazione. Avremo un altro anno di crescita "zero virgola" se tutto andrà per il meglio e i prossimi trimestri andranno come sperato. Soprattutto il terzo che dovrebbe risentire positivamente della buona dinamica del turismo a causa, purtroppo, delle guerre che rendono poco sicure mete tradizionalmente concorrenti e presidiate dall’esercito sin sulla spiaggia. Ci sono fondati timori che la mancata crescita si ripercuoterà in maniera rilevante su varie dimensioni del Bes, oltre quella del benessere economico. Il Censis ci ha detto nel giugno 2016 che nel nostro Paese circa 11 milioni di persone dichiarano di non aver abbastanza risorse per effettuare tutti i controlli medici necessari e che nel corso del 2015 per la prima volta negli ultimi 10 anni in Italia c’è stato un arretramento nell’aspettativa di vita. È altresì noto che siamo fanalino di coda in Europa nell’investimento in istruzione, un settore strategico per occupazione, creazione di valore economico e qualità della vita in generale. Il rallentamento della crescita, oltre agli inevitabili effetti su occupazione e qualità della vita di lavoro, ridurrà la raccolta fiscale rendendo dunque più difficile raggiungere gli obiettivi di finanza pubblica (rapporto deficit/Pil) necessari per stabilizzare o ridurre il rapporto tra debito e Pil. Le prime dichiarazioni del governo sono state giustamente improntate alla richiesta di maggiore flessibilità sui conti (flessibilità che Paesi come Spagna e Francia si sono presi da tempo, viaggiando a rapporti deficit/Pil più alti dei nostri). Le lacrime di coccodrillo del Fondo monetario internazionale e dell’Economist (ultimo numero, ndr) tornano su un errore ormai irreversibile su cui abbiamo detto dai tempi dell’appello in poi. L’austerità ha gravemente inasprito la crisi finanziaria globale in Europa trasformandola in una crisi dell’euro. Un conto è avere a riferimento lo spauracchio del Fiscal Compact, seppur costantemente disatteso nei fatti, un altro è usare un paradigma completamente diverso come quello keynesiano. Se la Ue avesse lanciato al momento opportuno come negli Usa un robusto piano di investimenti pubblici e il quantitative easing la storia sarebbe stata diversa e avremmo avuto probabilmente una crescita simile a quella degli Stati Uniti. Avere oggi via libera su uno solo dei due fronti (quello monetario) rende ancora più evidente la gravità della mancanza di sviluppo del secondo. Con un quantitative easing che è riuscito nel miracolo di azzerare il costo del denaro e del finanziamento del nostro debito pubblico (tanto che si parla di sfruttare il momento emettendo un titolo di debito pubblico a cento anni!), appare incredibile che non esistano piani di investimento pubblico con rendimenti superiori al costo del denaro in grado di rendere produttiva la nostra spesa pubblica in investimenti migliorando crescita e sostenibilità del debito. Una delle strade più promettenti su cui lavorare subito (oltre che il rilancio delle infrastrutture di trasporto nel Sud e della banda larga) è – e l’esempio non è affatto casuale – quella dell’efficientamento energetico degli edifici privati. Anche questo è un tema su cui insistiamo da tempo, in grado di generare un circolo virtuoso su varie dimensioni di benessere come di occupazione, creazione di valore economico e sostenibilità ambientale. Fa piacere vedere che, subito dopo la pubblicazione del dato deludente sul Pil del secondo trimestre, il ministro Del Rio sia tornato con decisione sul tema con proposte per sbloccare le due questioni che rallentano l’avvio di una "rivoluzione verde" in grado di mettere in moto una mole enorme di investimenti su tutto il patrimonio immobiliare del Paese. Si tratta infatti di ridurre il rischio imprenditoriale delle energy saving companies (le società che effettuano la ristrutturazione degli edifici) e sveltire i processi decisionali nei condomini spiegando a una moltitudine di persone con idee e culture diverse che l’intervento conviene (e, se necessario, imponendolo). La cessione del credito d’imposta alle energy saving companies e il finanziamento a tasso agevolato con fondi rotativi possono essere utili allo scopo. È arrivato il momento di agire il più rapidamente possibile. Evitando stantii e infine stagnanti dibattiti sull’imperativo di aumentare la produttività che vuol dire tutto e niente (imperativo quasi tautologico: come dire che per la crescita ci vuole la crescita) ed evitando di impegnare tutte le energie del governo nell’estenuante duello sulle riforme costituzionali certamente utili e necessarie, ma di cui, in questi termini, francamente non sentivamo il bisogno.
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