La questione di chi deve pagare le spese per sconfiggere il Covid-19 non è mai stata davvero centrale in questi mesi di pandemia. Finché circola un virus che nel mondo continua a uccidere 10mila persone al giorno la priorità è salvare le vite, tutto il resto passa in secondo piano, seguendo una gerarchia di urgenze in cui l’aspetto finanziario non occupa nessuno dei primi posti. Dovunque la domanda su chi deve farsi carico degli enormi costi di questa fase ciclica eppure per tanti di noi inaspettata della storia ha trovato la stessa risposta: paga lo Stato. Questa però non è una risposta definitiva. Perché i soldi dello Stato, di qualsiasi Stato, non sono come il tesoro che un re nasconde nella sua fortezza, ma sono essenzialmente il denaro che l’apparato pubblico decide di prelevare dai cittadini e dalle imprese.
Può prelevarli subito, con le tasse e le imposte, o può farlo dopo, chiedendo prestiti che rimborserà (con gli interessi) grazie agli incassi delle tasse degli anni a venire. Mercoledì, per la terza volta in tre anni, l’Italia ha emesso un Btp a 50 anni. Si è procurata 5 miliardi di euro. Pochi di noi avranno la fortuna di contribuire a onorare questo debito fino alla sua scadenza, il primo di marzo del 2072. Quei fortunati, in compagnia di migliaia di italiani che ancora devono nascere, saranno auspicabilmente quelli che chiuderanno il 'conto definitivo delle spese per il Covid-19'.
Insomma, nella situazione attuale i costi per sconfiggere virus li sosterranno dovunque i cosiddetti 'contribuenti'. Il Fondo monetario internazionale ha suggerito ai governi di pensare a tasse specifiche e straordinarie per prelevare parte del necessario dai cittadini e dalle aziende più ricche. Sono pochi però i governanti pronti ad accettare il prezzo che misure di questo tipo comportano in termini di popolarità. Finanziarsi a debito, rimandando le tasse ai governi del futuro, è più semplice e dà più chance di essere rieletti.
La pandemia ha provocato un’accelerazione nell’accumulo di debito a livello globale. A gennaio del 2020, quando il Covid ancora non aveva nemmeno un nome, uno studio della Banca Mondiale avvertiva che la quarta grande ondata di debito pubblico e privato, iniziata nel 2010, si stava ingrossando in maniera allarmante. Se era un’onda spaventosa, ora assomiglia quasi a uno tsunami. Il debito che in nove anni era salito di 64mila miliardi di dollari ha fatto un balzo di altri 24mila miliardi solo nel 2020, raggiungendo il nuovo record di 281mila miliardi di dollari, cioè il 355% del Pil mondiale, calcola l’Istituto di finanza internazionale. Il solo debito degli Stati è cresciuto in un anno di 12mila miliardi di dollari.
È in questo contesto di annegamento da passivo di bilancio che si moltiplicano le proposte per la cancellazione dei debiti. L’operazione è sempre complessa, ma in alcuni casi è più facile che in altri. Dipende, ovviamente, da cosa ne pensano i creditori. L’idea di alleggerire il debito delle nazioni più povere – rilanciata mercoledì dal dicastero per il Servizio allo sviluppo umano integrale della Santa Sede – è tra le più praticabili.
Due terzi dei circa 8mila miliardi di dollari di debito dei 76 Stati classificati come nazioni a reddito medio-basso o basso dalla Banca Mondiale sono dovuti a Stati o entità multilaterali come il Fondo monetario internazionale o la stessa Banca Mondiale. In questi casi la scelta se condonare o meno il debito è puramente politica. Proprio un anno fa G20, Fmi, Banca Mondiale e Club di Parigi (l’associazione dei grandi creditori pubblici internazionali) avevano fatto un passo avanti in questa direzione concordando la sospensione del pagamento dei debiti delle nazioni più povere. Le nazioni più ricche – a partire dalla Cina, grande creditore dell’Africa – possono fare uno sforzo in più.
Possono farlo perché è la loro stessa situazione a cambiare la prospettiva sul problema del debito. L’iper-indebitamento pubblico e privato di questi anni ci ha costretti a cercare soluzioni nuove per uscire da quella che rischia di diventare una spirale asfissiante. Oggi quasi un quarto dei debiti pubblici dei Paesi dell’euro è stato comprato dalla Banca centrale europea: gli Stati devono circa 2.500 miliardi di euro all’unica istituzione che ha il potere di 'creare' la moneta unica e fissarne il prezzo. La situazione non è molto diversa negli Stati Uniti, nel Regno Unito, in Canada e in Giappone.
Quello verso le proprie banche centrali è un debito che le nazioni, o i gruppi di nazioni, hanno con loro stesse. Un debito così anomalo che prima il professor Leonardo Becchetti proprio su queste pagine, poi il presidente del Parlamento europeo David Sassoli, quindi un nutrito gruppo di altri economisti europei sulle pagine di 'Avvenire', 'Le Monde', 'El Pais' e 'The Irish Times' ha proposto di cancellare. I Trattati vigenti non lo permettono, hanno risposto dalla Bce. Anche qui, però, la scelta è più politica che tecnica. Come a Bruxelles più di qualcuno ha cominciato a dire, anche ad alta voce.
Via via che le campagne di vaccinazione si intensificheranno e la nostra vita ritroverà gradualmente una nuova normalità, dovremo necessariamente tornare a parlare di come faremo a pagare per tutto quello che abbiamo fatto per sconfiggere il Covid-19. Un debito perenne e schiaccia-futuro non può e non deve essere l’unica risposta possibile.