Paolo Sorrentino si aggiorni, la “Grande Bellezza”, quella vera, ora è Milano. Capitale morale ritrovata e, di sicuro, con buona pace dei malmostosi, capitale dell’accoglienza, Milano si conferma regina assoluta della moda e dell’editoria (il luogo in cui si legge di più in un Paese in cui il libro è purtroppo spesso un oggetto lunare) della sanità e dei servizi per l’infanzia, e adesso anche polo turistico d’eccellenza.
Ecco, «eccellenza» e «resilienza», due termini ormai deprecabilmente abusati, ma assai amati dal popolo dei villeggianti metropolitani, arrivati a frotte a Milano. Infatti in piazza Duomo a Ferragosto si è data appuntamento la maggiore massa di viaggiatori, i selfiemademen del nuovo grand tour aggiornato da Google maps. Turisti fai da te ma niente affatto per caso, perché la nuova Milano dell’anno II d.E (anno secondo dopo l’Expo) ha fatto decollare la navetta in moto perpetuo dell’unica CityLife nazionale. Il miracolo a Milano è stato sicuramente l’Esposizione Universale del 2015 (un plauso va anche all’ex sindaco Letizia Moratti oltre che all’immediato successore Pisapia e al “regnante” Sala) che ha portato quasi 5 milioni e mezzo di visitatori, ma soprattutto ha permesso alla città di rifarsi il look e di tornare davvero ad essere quella che Lucio Dalla cantava come la città «vicino all’Europa». Luci a San Siro e anche più in là, nella periferica Bovisa, una delle tante zone finalmente amiche e risanate. Oggi come oggi, persino l’anarchico Luciano Bianciardi arrivando dal Kansas maremmano all’ombra del Pirellone non avrebbe più idee dinamitarde, ma si scioglierebbe in ammirata contemplazione del gran Milan. Tutti incantati dal cambiamento, in meglio, e dalla impressionante accelerazione impresa alla metropoli.
La locomotiva Milano procede rapida, spedita e la città è finalmente buona anche da bere, senza veleni sordidi e neppure troppo nascosti. Una realtà florida e vincente, con una marcia in più. Un ventilatore di offerte che spira forte aria fresca, da quella culturale al divertimento, il tutto a ritmo incessante rispetto alla “lumaca Italia” che si trascina lentamente sulla sua scia. Per assistere al più grande spettacolo dell’ultimo fine settimana erano tutti in coda a piazza Duomo, a Palazzo Reale, al Cenacolo vinciano, sciamando per il cuore storico di Brera al quadrilatero della Moda fino alla rediviva Darsena che costeggia lo specchio suggestivo dei Navigli. Una città romantica certo e una ritrovata meta turistica che nei primi sei mesi del 2017 ha già ospitato 3 milioni di visitatori e che entro la fine dell’anno punta a giocare al raddoppio. E può farcela, visto che le sue strutture ricettive registrano una media di quasi l’80% di “tutto esaurito” stagionale.
Il segreto di un boom così repentino? In gran parte, come detto, sta nel volano Expo, con la sua lunga onda per niente anomala, ma frutto di programmazione attenta, di riqualificazione urbanistica e di miglioramento dei servizi comprese due nuove linee metropolitane, la Blu e la Lilla che mescolate danno l’idea, non solo cromatica, di un futuro più roseo. Ma oltre a questo c’è anche un rinnovato orgoglio meneghino: il popolo che beneficia delle migliorie estetiche e funzionali, sopporta fiducioso i cantieri aperti, riscopre il senso di appartenenza a una città che giustamente si autocelebra anche nella pubblicistica con un rappistico “Bella Milano”. Non tutto è oro quello che luccica sotto la Madonnina (si può fare ancora di più per la viabilità e le ciclovie su scala europea). Così come non sarà certo tutta colpa del sindaco Virginia Raggi se Roma arranca rispetto a Milano e perde anche il 2-3% delle presenze turistiche agostane (calo da 600 milioni di euro).
Roma rimane il cuore spirituale della Cristianità e la splendida Città Eterna, il Colosseo è il Museo statale più visitato (il giorno di Ferragosto 14.186 ingressi), ma è eterna anche la sua incapacità di cambiare pelle ed essere al passo con un mondo di cui purtroppo da tempo immemorabile non è più caput. Le Olimpiadi, sfumate, di Roma 2024 potevano essere un’opportunità per tentare di tornare almeno, «dopo i Giochi più umani» del 1960, la capitale mondiale dello sport. Di sicuro sarebbe stato avviato un restyling dell’Urbe quanto mai necessario in un tempo in cui persino gli stessi romani si sono disaffezionati alla loro città che trovano brutta, sporca e cattiva. E forse si sarebbe una buona volta dimostrato che a Roma si può fare, senza pastette.
Gli odiosi e inveterati confronti Roma-Milano, gli sterili antagonismi di campanile, non servono in questo momento. Serve piuttosto un asse Comune, con la C maiuscola, per un rilancio globale e cittadino del Sistema Bel Paese, in cui si possa essere felici della propria città e del proprio tempo. Al pari del milanese che in queste notti d’estate passeggia spensierato come un turista tra «piroette di sabbia e le guglie del Duomo».