Dall’inizio del ’900 a oggi, Donald Trump è l’unico presidente nella storia degli Stati Uniti ad aver ottenuto un secondo mandato dopo aver perso la prima campagna per la rielezione. E, a dispetto dei sondaggi, ha vinto in tutti gli Stati-chiave. Ma non è solo per questi motivi che le elezioni del 2024 passeranno alla storia. Oltre che l’entità della vittoria di Trump, infatti, conta il come l’ha realizzata. Al netto di errori e debolezze della candidata Kamala Harris e del presidente uscente Joe Biden, possiamo affermare che – in quanto fruitori delle Big Tech in mano ai “gigacapitalisti” (copyright Riccardo Staglianò) – anche noi abbiamo dato, seppur indirettamente, una mano a Trump.
“Noi” siamo l’insieme degli utenti di Twitter, il social network comprato da Elon Musk per 44 miliardi di dollari nel 2022 e ribattezzato X l’anno dopo. Soltanto nei primi 6 mesi di quest’anno, stando all’indagine di una no-profit specializzata, Musk avrebbe diffuso fake news sui democratici in almeno 50 post sul suo social. Nell’ultimo periodo il patron di X (oltre che di Tesla, Space X, Neuralink... ) si è spinto oltre, diventando, nei fatti, uno dei suoi più decisivi alleati di Trump, investendo decine di milioni di dollari a sostegno di The Donald e dei candidati repubblicani al Congresso. Nell’agosto scorso, Musk si era reso protagonista inoltre di un evento irrituale: un’intervista di tre ore a Trump su X, durante la quale il neo-presidente ha potuto spaziare, senza timore di essere interrotto o corretto (come sarebbe accaduto, invece, con un interlocutore giornalista). Kara Swisher, giornalista esperta di tecnologia, autrice del recentissimo “Burn Book”, aggiungerebbe che l’esito del voto negli Usa conferma che Elon Musk è diventato «l’emblema di tutto quello che è andato storto nella Silicon Valley».
Curioso: proprio Trump era stato cacciato da Twitter e da Facebook nel 2021, dopo aver usato gli account sulle due piattaforme per appoggiare l’attacco al Campidoglio del 6 gennaio. Nonostante questo, i sostenitori del presidente eletto nel 2016 e ora riconfermato a furor di popolo, hanno continuato a diffonderne il messaggio, fake news comprese, come ha documentato il Global Disinformation Index. Quando dico che anche noi abbiamo dato una mano a Trump sto parlando pure del popolo di Facebook, il social di Zuckerberg, con ben 3 miliardi di utenti: la più vasta clientela che un’azienda abbia mai avuto nella storia dell’umanità. La casa-madre di Facebook, ossia Meta, ha dichiarato di aver rimosso, negli ultimi mesi, migliaia di falsi account: un lavoro immane e meritorio che, però, non ci toglie il dubbio che una quota di disinformazione abbia continuato a circolare.
Ancora. “Noi” siamo l’esercito di clienti di Amazon, oltre 300 milioni nel mondo. Pure il suo boss, Jeff Bezos, si è ritagliato un ruolo in questa campagna elettorale: infrangendo una consolidata tradizione, infatti, l’imprenditore, proprietario dal 2013 del “Washington Post”, una delle più importanti testate del mondo, ha deciso di non appoggiare ufficialmente alcun candidato, bloccando un “endorsement” a favore di Harris già predisposto in redazione e provocando così polemiche e dimissioni dal giornale.
Ce n’è abbastanza per dire che queste elezioni hanno rivelato, come mai prima d’ora, il ruolo decisivo – sotto il profilo tecnologico, economico e pure politico – dei GAFAM (Google, Amazon, Facebook, Apple, Microsoft) negli Usa e nel mondo. Come si legge in un report del Congresso Usa pubblicato nel 2020, aziende che un tempo erano coraggiose startup «si sono ormai trasformate nel genere di oligopolio che per l’ultima volta abbiamo visto nell’era dei baroni del petrolio e dei magnati delle ferrovie».
Chiudo con una celebre frase di Louis Brandeis, giudice della Corte Suprema Usa dal 1916 al 1939: «Possiamo avere la democrazia, oppure possiamo avere la ricchezza concentrata nelle mani di pochi, ma non possiamo avere entrambe le cose». L’esito delle elezioni appena concluse ci dovrebbe ricordare – come ripete da anni Leonardo Becchetti – che tutti, in quanto consumatori, ogni giorno esercitiamo un «voto col portafoglio». Per troppo tempo, come utenti dei GAFAM, abbiamo barattato una quota della nostra sovranità da cittadini; usufruire dei servizi delle piattaforme rappresenta, chi lo nega?, una splendida comodità. Nel frattempo le Big Tech sono diventate “too big” e s’è affermato «il capitalismo della sorveglianza». È tempo di risvegliarsi dal sonno, prima che sia troppo tardi.