Guardare le stelle. E sorridere. È notte di san Lorenzo. Stanotte con alcuni artisti la celebreremo nel nome di san Filippo Neri, sulla Montagna incantata sopra Gaeta. Sorridere, anche in mezzo alla crisi e alla tempesta. Si può. Se si ha come Filippo – il santo umorista, secondo Goethe – un motivo per amare il mondo. Anche quello difficile dei ragazzi in difficoltà. «Col piè calcar le stelle», scrive in un suo verso il santo simpatico e mistico. Voleva salire addirittura sopra le stelle e lasciare la vanità del mondo. Portare nel suo cuore di mistico e innamorato di Gesù tutta la simpatia per i suoi ragazzi di strada. Portarla fino in cielo. Mistico e popolare. Per questo poteva sorridere del mondo. Non come gli stolti sulle cui labbra abbonda il vuoto ridere che oggi va di moda in una epoca tetra e ridanciana. L’uomo che guarda le stelle e canta, come l’uomo che guarda le stelle e sorride, sa che il mondo è fatto di una stoffa e di una misura il cui mistero lo sovrasta. Solo l’uomo che canta e che sorride sotto le stelle è affidabile.Chi non canta e chi non sorride è un uomo arrabbiato. E degli arrabbiati è meglio non fidarsi. Specie quando si arrabiano perché le cose non sono secondo i loro desideri. In questa Italia i cui canti popolari sono pieni di sorriso e di devozione, l’esempio di Filippo nella notte delle stelle può essere significativo. Un invito a allargare il cuore. Tanti artisti stasera canteranno e leggeranno poesie. Ci sarà l’orchestra popolare di Ambrogio Sparagna, Giovanni Aversano, Peppe Servillo, gli Amaranto. E le poesie che parlano di mare e di stelle. Un festival nel nome di san Filippo, voluto dalle città di Formia e Gaeta, quasi a ricordare in quest’epoca dove sembra ci sia posto solo per occhi bassi e risa isteriche e stupide che no, il cuore d’Italia, il cuore dei santi e del popolo italiano, è capace di far alzare gli occhi al cielo, di cantare e di sorridere. E che solo quando nessuno più canterà, sorriderà o alzerà gli occhi alle stelle, potranno dire che Italia è morta. San Filippo seppe essere un mistico e un educatore. A dimostrazione che non è vero che ciò che è altissimo non è popolare.Gli artisti che nel festival della “Montagna incantata” guarderanno le stelle insieme alla folla e canteranno e leggeranno, sono persone che puntano su questa anima italiana capace di altezza e di condivisione. Non sarà nient’altro a salvare questo Paese. Nessun memorandum o svendita o linea politica. Sarò il nostro canto, il nostro sorriso. E lo stupore di vedere le stelle come un disegno misterioso della vita, come invito ad allargare sempre lo sguardo. La volta stellata non è faccenda solo da persone sensibili o romantiche. È un segno duro, inciso nel fuoco di una luce infinita, un alfabeto che chiede di essere letto anche dai cuori più duri e addolorati. Il riso stolto non convive con il dolore che inevitabilmente abita la nostra vita. Il canto e l’umorismo invece contengono anche il dolore, lo rispettano, lo sollevano fino a farne materia di conversione del pensiero e del cuore. L’uomo che soffre sa che il canto e le stelle sono suoi compagni. E che l’umorismo – il distacco non amaro, il disincanto non cinico a proposito dalla vanità del mondo – è un consigliere saggio. Stanotte guarderemo le stelle con un sorriso profondo. E guardare sorridendo le stelle non sarà l’esercizio banale di uomini che non sentono il peso della vita. Né il divertimento casuale di una sera. Sarà il gesto semplice e sacro di chi conosce davvero e non intende censurare nulla. Come san Filippo, autore di poesie, di canti e simpatico compagno di tutti.