Da un lato un consistente taglio alle spese militari (ammontate quest’anno a 793 miliardi di dollari, nove volte quelle ufficialmente dichiarate dalla Cina), dall’altro un esplicito avvertimento a Pechino che l’America riserverà alla regione 'Asia-Pacifico' la stessa attenzione che nel secondo Novecento aveva riversato sul teatro 'Europa-Nordatlantico': il tutto considerato all’interno di uno scenario futuro in cui gli Stati Uniti non dovranno più combattere contemporaneamente due conflitti (seppur minori) o impegnarsi in lunghe campagne controinsurrezionali; ma semmai confrontarsi con una 'potenza regionale emergente'. C’è di che far imbestialire il governo cinese, che difatti non ha preso bene le nuove 'Linee guida per la Difesa Strategica' annunciate dal presidente Obama in una delle sue rare apparizioni al Pentagono.
La lunga fase negativa dell’economia americana costringe anche le Forze Armate a fare sacrifici (materia oggetto di discussione pure da noi, del resto) e questi ci saranno: si parla di una revisione/sospensione dell’acquisto dei costosi caccia F-36, della rinuncia a una portaerei (su 11) della classe Nimitz e della riduzione del 10-15% del personale di Esercito e Marines (i cui effettivi erano aumentati in questo decennio di guerre mediorientali). Ma la scelta sul dove operare i tagli è indicativa delle previsioni che l’Amministrazione ha delineato circa l’evoluzione del sistema internazionale da qui a dieci anni.Qualunque altro modo di operare riduzioni che incideranno per molti anni a venire sulle capacità militari del Paese sarebbe stato naif e questa è una lezione da tenere a mente, mentre anche in Europa e in Italia si parla con insistenza (e spesso con poca cognizione di causa) di tagliare le spese destinate alla sicurezza. E il mondo che verrà, per quel che si ricava dal
documento consultabile da chiunque in rete, è un mondo in cui gli interessi americani si spostano sempre più verso l’Asia-Pacifico e dove la stessa sicurezza americana potrebbe trovare a Oriente un tipo di sfida insieme nuovo e più convenzionale, indicato chiaramente nel crescere della 'potenza regionale' cinese. Sfida convenzionale perché, a fronte dell’emergere di un potenziale rivale, la risposta classica, e sempre valida, sta nel 'bilanciamento'; ma anche sfida nuova perché, se non proprio di partnership, nessuno a Washington vuole parlare apertamente di 'rivalità' nei rapporti sino-americani. Al punto che Henry Kissinger, il fautore dello storico riavvicinamento tra Washington e Pechino del 1972, ha coniato per il suo nuovo libro (
Cina,
Mondadori) il concetto di «coevoluzione», in cui «entrambi i Paesi perseguono i loro imperativi nazionali, cooperando quando possibile e regolando le loro relazioni in modo da ridurre al minimo i conflitti».Dicevamo che Pechino non l’ha presa per nulla bene – anche per quell’attributo 'regionale' associato al sostantivo 'potenza' che ha preso come un insulto – e ha mandato a dire al presidente Obama, attraverso il quotidiano internazionale del Pcc
Global Times,
che «la Cina deve far capire agli Usa che la propria crescita non può essere arrestata». Si preannuncia dunque un nuovo momento di tensione, dopo quello di poche settimane fa seguito all’affermazione di Obama, al vertice delle Hawaii, che «gli Stati Uniti sono una potenza asiatica». Insomma, non si direbbe che la Casa Bianca sia orientato a seguire gli ammonimenti del vecchio Kissinger, né a blandire il maggiore possessore di titoli del proprio Tesoro. La scelta americana, per riaffermare la propria superiorità di status in tempi di crisi economica, è quella di limitare l’impiego delle proprie capacità militari agli obiettivi strategici su cui nessun altro può credibilmente impegnarsi: bilanciare le potenze emergenti (Cina), contrastare la proliferazione nucleare (Iran), vigilare nei confronti del terrorismo globale, sviluppare la difesa hi-tech e lasciare agli alleati il compito di monitorare le crisi minori e le regioni di minore interesse strategico. Di qui le implicazioni per l’Europa: a cui viene garantito l’ombrello Nato in funzione antirussa, ma alla quale si chiede sostanzialmente di farsi carico del suo emisfero.Ecco quindi che se la spinta verso l’instaurazione di «governi più responsabili verso le legittime aspirazioni dei loro popoli» dovesse produrre instabilità nel Mediterraneo, in Africa o nello stesso Levante, gli europei dovranno anzitutto far conto sulle proprie capacità per venirne a capo (almeno fino a quando fosse a rischio la sicurezza di Israele, per la quale Obama ha ribadito la continuità dell’impegno americano). Il messaggio per Bruxelles, Londra, Parigi, Berlino e Roma non potrebbe essere più chiaro: noi tagliamo in base alle nostre priorità strategiche, voi fate i vostri ragionamenti e tagliate come ritenete opportuno, ma non contate solo e sempre su di noi per mantenere l’ordine nel giardino di casa…