venerdì 26 ottobre 2012
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I l film uscito nelle sale recentemente con il titolo di Reality e firmato da Matteo Garrone sembra porre defini­tivamente fine al successo dei program­mi televisivi che si basano sulla messa a spettacolo di comportamenti non detta­ti da 'copione', e ripresi con telecamere onnipresenti, che scrutano la vita sia di persone della strada sia di cosiddetti Vip Un genere dal punto di vista artistico molto scadente, e dal punto di vi­sta degli obiettivi comunicativi e culturali decisamente preoccupante, in quanto legato ad una sorta di 'fetici­smo del vedere' e di culto della fatuità e della virtualità per gli spettatori, nonché a forme (al limite del patologi­co) di protagonismo e narcisismo, per chi vi partecipa. Come emerge dal calo degli ascolti dei reality, il largo pubblico sembra averne colto in qualche modo le criti­cità e le debolezze, e se ne sta distaccando progressiva­mente.Bene ha fatto comunque Garrone a mettere in scena cinematograficamente il dramma di un individuo, e quello della sua famiglia, coinvolto, virtualmente e con una fantasia malata, in una ipotesi di partecipazione alla trasmissione Grande Fratello, che lo porta a una sorta di allucinazione e distacco dal mondo reale di gravità i­naudita. Certo non tutti coloro che sono stati attratti da questo genere di televisione fanno la fine di Luciano, il pescivendolo di Napoli, protagoni­sta del film.Ma la patologia, portata alle estreme conseguenze nel lavoro di Garrone, è la stessa di cui soffrono molte altre persone di fronte a simili spettacoli. Viene spontaneo chieder­si come siamo arrivati fin qui e cosa ci aspetta dopo i reality. Certamente il soft power (il morbido, insinuante potere) della omologazione televisiva è un fenomeno di lunga data. È però a partire dagli anni 90 che l’esplosione delle tecnologie informatiche, assieme ai difetti di una società troppo sazia, e alla crescente spinta alla spettacolarizza­zione, comincia a produrre, in quantità crescenti e con ritmi fibrillatori, sempre più prodotti e meccanismi di consumo che tendono a rafforzare la sostituzione del mondo reale con quello virtuale e la 'verticalizzazione' dei vissuti, con perdita di peso e valore delle relazioni di tipo orizzontale.Sul piano dei consumi, anche culturali, questo significa atteggiamenti di tipo onnivoro, non se­lettivi e non dettati da criteri di scelta, secondo una pre­sunta logica della libertà come moltiplicazione delle e­sperienze. La normatività va in crisi, e con essa il ruolo di padri, maestri e sacerdoti. La paura e la fragilità sociale si sfogano nella rappresentazione mediatica delle stesse.Ciò che è mancato nei due decenni trascorsi è la capa­cità della società tutta (istituzioni e comunità) di attrez­zarsi e rispondere con valori e politiche capaci di 'volge­re al bene collettivo' i cambiamenti e di farne scaturire linee di crescita armonica e umanistica della convivenza sociale. Da cui l’esplodere del cosiddetto ciclo dell’indi­vidualismo egoistico degli ultimi 20 anni, vero cuore del­la attuale crisi.Che cosa possiamo aspettarci dopo il lento, ma ormai avviato, declino dei reality? Non è certo facile pensare a un rilancio dell’offerta culturale e televisiva dopo tanto sconquasso. Non è certo il caso di rievocare il concetto di 'Stato eti­co', come utilizzato in Italia nel dibattito politico dal fa­scismo in poi, e cioè come processo di autoreferenzialità dei livelli istituzionali alti nel definire a priori le finalità individuali e collettive.Ma non vi è dubbio che soggetti­vismo e nuovismo andrebbero contrastati attraverso un progetto di riqualificazione dell’offerta culturale di am­pio respiro, prendendo spunto da quei segmenti di so­cietà, e relativi valori, che pure gli italiani continuano ad apprezzare. Alcuni esempi per tutti: la coesione sociale delle comunità legate da una identità territoriale signifi­cativa (dai borghi autentici e dal paesaggio ai luoghi del benessere); le comunità cittadine che si formano attorno ad alcuni obiettivi condivisi (dagli acquisti sostenibili al­la valorizzazione di segmenti della città); la solidarietà familiare e di piccolo gruppo; i gruppi che si raccolgono attorno a esperienze culturali, musicali e di tempo libe­ro; l’imprenditoria sana e attenta al sociale; i rivoli di in­novazione nella scienza e nella tecnica; la creatività arti­stica genuina; le esperienze di Chiesa vissuta in profon­dità; le forme di governo condiviso e partecipato; le reti di scambio e supporto; la parte nobile dei social network e i movimenti di espressione sociale e politica che cerca­no nuovi spazi e linguaggi. Da qui si può ripartire.
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