I l film uscito nelle sale recentemente con il titolo di Reality e firmato da Matteo Garrone sembra porre definitivamente fine al successo dei programmi televisivi che si basano sulla messa a spettacolo di comportamenti non dettati da 'copione', e ripresi con telecamere onnipresenti, che scrutano la vita sia di persone della strada sia di cosiddetti Vip Un genere dal punto di vista artistico molto scadente, e dal punto di vista degli obiettivi comunicativi e culturali decisamente preoccupante, in quanto legato ad una sorta di 'feticismo del vedere' e di culto della fatuità e della virtualità per gli spettatori, nonché a forme (al limite del patologico) di protagonismo e narcisismo, per chi vi partecipa. Come emerge dal calo degli ascolti dei reality, il largo pubblico sembra averne colto in qualche modo le criticità e le debolezze, e se ne sta distaccando progressivamente.Bene ha fatto comunque Garrone a mettere in scena cinematograficamente il dramma di un individuo, e quello della sua famiglia, coinvolto, virtualmente e con una fantasia malata, in una ipotesi di partecipazione alla trasmissione Grande Fratello, che lo porta a una sorta di allucinazione e distacco dal mondo reale di gravità inaudita. Certo non tutti coloro che sono stati attratti da questo genere di televisione fanno la fine di Luciano, il pescivendolo di Napoli, protagonista del film.Ma la patologia, portata alle estreme conseguenze nel lavoro di Garrone, è la stessa di cui soffrono molte altre persone di fronte a simili spettacoli. Viene spontaneo chiedersi come siamo arrivati fin qui e cosa ci aspetta dopo i reality. Certamente il soft power (il morbido, insinuante potere) della omologazione televisiva è un fenomeno di lunga data. È però a partire dagli anni 90 che l’esplosione delle tecnologie informatiche, assieme ai difetti di una società troppo sazia, e alla crescente spinta alla spettacolarizzazione, comincia a produrre, in quantità crescenti e con ritmi fibrillatori, sempre più prodotti e meccanismi di consumo che tendono a rafforzare la sostituzione del mondo reale con quello virtuale e la 'verticalizzazione' dei vissuti, con perdita di peso e valore delle relazioni di tipo orizzontale.Sul piano dei consumi, anche culturali, questo significa atteggiamenti di tipo onnivoro, non selettivi e non dettati da criteri di scelta, secondo una presunta logica della libertà come moltiplicazione delle esperienze. La normatività va in crisi, e con essa il ruolo di padri, maestri e sacerdoti. La paura e la fragilità sociale si sfogano nella rappresentazione mediatica delle stesse.Ciò che è mancato nei due decenni trascorsi è la capacità della società tutta (istituzioni e comunità) di attrezzarsi e rispondere con valori e politiche capaci di 'volgere al bene collettivo' i cambiamenti e di farne scaturire linee di crescita armonica e umanistica della convivenza sociale. Da cui l’esplodere del cosiddetto ciclo dell’individualismo egoistico degli ultimi 20 anni, vero cuore della attuale crisi.Che cosa possiamo aspettarci dopo il lento, ma ormai avviato, declino dei reality? Non è certo facile pensare a un rilancio dell’offerta culturale e televisiva dopo tanto sconquasso. Non è certo il caso di rievocare il concetto di 'Stato etico', come utilizzato in Italia nel dibattito politico dal fascismo in poi, e cioè come processo di autoreferenzialità dei livelli istituzionali alti nel definire a priori le finalità individuali e collettive.Ma non vi è dubbio che soggettivismo e nuovismo andrebbero contrastati attraverso un progetto di riqualificazione dell’offerta culturale di ampio respiro, prendendo spunto da quei segmenti di società, e relativi valori, che pure gli italiani continuano ad apprezzare. Alcuni esempi per tutti: la coesione sociale delle comunità legate da una identità territoriale significativa (dai borghi autentici e dal paesaggio ai luoghi del benessere); le comunità cittadine che si formano attorno ad alcuni obiettivi condivisi (dagli acquisti sostenibili alla valorizzazione di segmenti della città); la solidarietà familiare e di piccolo gruppo; i gruppi che si raccolgono attorno a esperienze culturali, musicali e di tempo libero; l’imprenditoria sana e attenta al sociale; i rivoli di innovazione nella scienza e nella tecnica; la creatività artistica genuina; le esperienze di Chiesa vissuta in profondità; le forme di governo condiviso e partecipato; le reti di scambio e supporto; la parte nobile dei social network e i movimenti di espressione sociale e politica che cercano nuovi spazi e linguaggi. Da qui si può ripartire.