Stando ai giornali italiani (tutti, questo compreso) un paio di centinaia di prossimi parlamentari della Repubblica dovrebbero impegnarsi davanti al notaio a pagare una multa di 100mila euro a un’entità privata qualora essi, a suo insindacabile giudizio, non si conformassero a mutevoli voleri. Così dice, infatti, un file pdf anonimo messo online il 30 dicembre 2017 nel sito (non di Beppe Grillo) beppegrillo.it. In un Paese normale questo sarebbe considerato uno scherzo d’aprile fuori stagione. In Italia, invece, riempie i mass media. E a buon titolo. Quelle 2.773 parole anonime, infatti, vengono prese come la voce ufficiale del Movimento 5 Stelle, che si palesa come probabile vincitore, in quanto primo partito, delle prossime elezioni, e che addirittura ambisce a occupare tutte le poltrone del Governo di uno dei Paesi del G7. La pretesa di multa privata su suolo pubblico è l’acme della seconda bancarotta della politica italiana.
La prima fu quando tanti politici (non tutti) e tanti partiti (non tutti) divennero idealmente e ideologicamente tanto deboli, da liquefarsi di fronte al normale lavoro della magistratura, quello di giudicare i presunti delinquenti. Dopo i giudici, ora è la volta dei notai. È nelle loro mani infatti che i manager politici del 'nuovo che avanza' vorrebbero mettere l’ingessatura a un bel pezzo del corpo di una politica in deliquio, nella quale è sempre meno possibile riconoscere ideali, valori e programmi. Il bando alle ideologie – ossia allo scheletro naturale per non camminare come un ubriaco – sembra aver fatto piazza pulita anche delle idee. Salvo poche eccezioni, la politica si è ridotta in Italia a una guerriglia di nomi, cognomi, brand, comparsate televisive, tweet, post e chat, nella quale l’importante è conformarsi ai sondaggi quotidiani, evitare segni di riconoscimento ideale e indossare pelle d’anguilla. Il brand, la sigla, la casacca, gli statuti e i non-statuti si cambiano in fretta come gli illusionisti cambiano il vestito dietro a un telo in due secondi. Un capopartito e aspirante presidente del Consiglio dice un giorno alla Bbc che il suo modello sono i Paesi scandinavi. Poco dopo dice senza il minimo imbarazzo che si vuole ispirare alla politica fiscale di Donald Trump.
Per evitare la multa di 100mila euro, come dovrebbe allora legiferare un parlamentare della Repubblica sottomesso a quel capopartito? Come nella Svezia di Olof Palme? O come negli Usa di Trump? Come dovrebbe comportarsi, per esempio, uno dei 17 europarlamentari dei 5 Stelle che furono costretti a firmare nel maggio 2014 un autodafé da 250mila euro in caso di 'tradimento'? I diciassette infatti furono caldamente indotti ad aderire a un gruppo della destra radicale e xenofoba nel Parlamento Europeo (EFDD), poi dovettero lasciarlo per cercare di entrare nel gruppo dei liberali europei. Poi la centrale decise di annullare tutto e li fece rientrare nel gruppo del milionario Nigel Farage («Il prossimo primo ministro britannico», secondo l’aspirante primo ministro italiano e nuovo capopartito). Di fronte a questa sceneggiata due dei 17 abbandonarono il partito ed entrarono in due gruppi politici concorrenti con il M5S. A tutt’oggi i due mi confermano che la centrale non passò mai all’incasso della multa di 250mila euro, ben sapendo che nessun giudice avrebbe mai considerato legittima quella clausola-spaventapasseri. Al Parlamento europeo i 17 pentastellati dovettero quindi aderire, dopo un plebiscito-farsa in internet, a un gruppo della destra radicale.
Tuttavia, la massima concordanza di voto (72%) la hanno con il gruppo della sinistra radicale (Gue). Dove è allora il tradimento? Fondersi con la destra? O votare con la sinistra? A Milano l’ardua sentenza! Ossia a chi incasserebbe la multa. Se stessimo al gioco di questa farsa, comunque, dovremmo completarla con una clausola di reciprocità. Questa dovrebbe prescrivere il pagamento di 250mila euro a ognuno dei parlamentari, qualora sia la centrale a rinnegare i princìpi e le promesse con i quali essi chiesero voti. Prendete per esempio il precetto della crescita economica (ossia del raddoppio del Pil ogni 20 anni, all’infinito). Per decenni Beppe Grillo e il movimento politico degli 'Amici di Beppe Grillo' hanno smascherato la fallacia del Pil e del dogma della crescita. Da qualche tempo la centrale ha dato contrordine: ci vuole ancora maggiore accelerazione della crescita del Pil. Con una clausola di reciprocità, la centrale voltagabbana dovrebbe pagare ai 180 parlamentari una multa di almeno 2 milioni di euro. Possibilmente da devolvere in beneficienza. Anche noi, come ogni giudice, potremmo solo sorridere di fronte alla corbelleria incostituzionale della multa privata da 100mila euro a un parlamentare della Repubblica.
E invece c’è poco da ridere. È una sciagura per il Paese, infatti, che questa sciocchezza sia escogitata dalla centrale di un partito percepito da milioni di italiani, specialmente i più giovani, come l’ultima spiaggia per resuscitare la democrazia. Tenere insieme un partito con le multe e i notai invece che con una comunanza di ideali, con organi elettivi, e con strutture che contemplino sia il dissenso interno, sia criteri equi per sanzioni politiche, vuol dire essere consapevoli di aver costruito non un castello, ma un mucchio di sabbia. Anzi di sabbie mobili. Vuole dire diventare il campione dei peccati sia della Prima sia della cosiddetta Seconda Repubblica. Infatti, obbligare i parlamentari a obbedire ai capipartito invece che alla coscienza e agli elettori, fu l’espressione proprio della cosiddetta 'partitocrazia' che i 5 Stelle volevano combattere, prima di entrare a farne parte. Far trionfare nella politica i soldi e le aziende fu poi il marchio della Seconda Repubblica. Se è questo il 'nuovo che avanza', c’è poco da ridere.