È bene ricordare che il tema del «merito» in senso «meritocratico» fu posto, con allarme, da un sociologo laburista inglese, Michael Young, negli anni 50 del Novecento. Negli anni 60, fu contestazione contro quelli che meritavano allora: padri, padroni, preti e professori. 'Anche l’operaio vuole il figlio dottore' si cantava. E il metodo don Milani, la scuola di Barbiana, era la strada che portava sui palchi della Scala di Milano anche il figlio di un muratore dell’Appennino. Poi andò come andò. In Italia i bisogni di sicurezza fecero premio sul merito. Si badi: bisogni di sicurezza dei lavoratori. Ma anche dei 'padroni': che volevano essere sicuri d’esser loro, e solo loro, a decidere i meriti. Quasi sempre espressi in esperienza, anzianità e fedeltà. In altre parti del mondo, il merito ha invece fatto strame dei bisogni: decide persino se puoi curarti, formarti e così via. Ed è stato così ripudiato dal fondatore.
Prima di andare avanti, un passo indietro: Aristotele, duemilacinquecento anni fa. Lui segnalò, nell’Etica nicomachea, che la politica senza dubbio è scienza la più importante: è «architettonica », «poiché è essa che si serve di tutte le altre scienze e che stabilisce cosa si deve fare e non fare». Ma, aggiunge, la politica conduce anche a «verità imprecise». Anzi, «grossolane». Perché la sua materia è complessa e non consente altro e di più.
Questa lezione di Aristotele può avvisarci che la giustizia, se c’è, è cosa complessa. Il merito è solo un particolare. Un particolare strumento, utile, niente di più. E niente di meno, peraltro. Legato al merito c’è il tema del fisco, soprattutto in materia di eredità. Il merito non ammette eredità, anzi. La cosa empiricamente è dimostrata in Italia, sia pure al contrario. In Italia dove l’eredità di patrimoni mobili e immobili è di fatto tax free e dove non per merito ma per anzianità si accede al posto di professore, e per anzianità si cambia sede e dopo i 50 anni
si arriva a una paga decorosa. È un esempio, quello della scuola, tra mille altri. Che tutti assieme convincono, da un decennio ormai, a decine di migliaia per anno, i 'giovani studiati' d’Italia ad andarsene in Paesi dove è riconosciuto il merito. Così dicono, in ogni intervista. E questo legame tra merito e successione dovrebbe tenerlo presente anche Enrico Letta, altrimenti passa per uno che vuole solo aumentare le tasse.
Ma poi cos’è oggi il merito? Il merito fa riferimento a competenze, skills. E nelle skills sta capitando qualcosa che non c’era ai tempi in cui si iniziò. Ferruccio Resta, rettore del Politecnico di Milano (scuola tecnica per eccellenza, in Italia e nel mondo), va sostenendo che bisogna insegnare filosofia agli ingegneri. Altrimenti non sono (più) bravi ingegneri. La vedo dura. Ma Resta ne è convinto. Lo è perché oggi la letteratura sul tema raccomanda le competenze
life. E quindi: pensiero critico, visione d’insieme, capacità relazionale, leadership, responsabilità e così via. Le raccomanda nel senso che fanno premio: contano e valgono quanto e più delle competenze tecniche.
Mi paiono competenze attente ai contesti, dove ci sono meriti ma anche bisogni. Mi pare che la capacità relazionale tra persone sia da raccomandarsi. E se la leadership viene studiata, spiegata e indagata è cosa buona e utile, in tempi dove incappiamo in leader scappati di casa, senza arte né parte, eppure assisi in qualche poltrona. A far danni. Mi pare poi che la competenza 'pensiero critico' non dico sia in grado di autocorreggersi, ma sia disponibile a essere corretto. Nella infinita sfida che la politica fa per approssimare i suoi grossolani tentativi agli ideali di libertà ed eguaglianza, queste competenze meritano ancora qualcosa. In Italia, tutto.