Ecco, finalmente, l’anticorpo. Un anticorpo solo funzionale, al quale attribuire un qualche significato messianico sarebbe un errore di prospettiva, ma che comunque racconta – in modo diremmo esemplare – la lezione che il corpo elettorale di un Land di assoluta preminenza economica, politica e sociale come la Baviera ha fornito non solo alla Germania, ma all’Europa intera. Perché assegnando ai Grünen – quei Verdi sempreverdi (alle elezioni europee del 2014 hanno superato il 10%, alle federali dello scorso anno hanno ottenuto quasi il 9) che varie volte sono entrati e usciti dalle coalizioni di governo – oltre il 17% dei consensi, la Baviera ha confermato che l’anticorpo ai populismi e ai sovranismi esiste.
E se i partiti maggiori – in questo caso la Cdu-Csu e la Spd – non sono più in grado di esercitare compiutamente quel ruolo, ecco che l’elettorato va a svuotare i serbatoi delle due grandi famiglie tradizionali punendole (e nel caso della Csu amputandola della storica maggioranza assoluta) colmando il bottino dei Verdi che divengono la seconda forza politica del Land e in parte anche dei Freie Wähler, quei Liberi Elettori che ricevono quasi il 12% dei voti. Certo, la prevista affermazione di Alternative für Deutschland – quasi l’11% – dimostra come l’area della xenofobia e del sovranismo più estremo sia ancora un avversario da non sottovalutare, ma il confronto numerico è più che eloquente: Verdi e Afd hanno guadagnato il 19% dei consensi, mentre Csu e Spd hanno perso complessivamente il 20.
Un travaso quasi perfetto. La débâcle dei cristiano sociali si spiega anche e soprattutto con la pessima strategia che il loro leader – il ministro dell’Interno Horst Seehofer – ha adottato negli ultimi mesi, sposando la paura e l’intolleranza propria dei populisti e facendone una clava per mettere in difficoltà Angela Merkel e la Cdu. Una scelta che dimostra come inseguire la deriva populista e xenofoba cercando di trarne qualche piccolo vantaggio sia impresa avara di premi per le forze responsabili, a dimostrazione che l’accattonaggio delle pessime idee altrui è sempre una tattica perdente.
Letteralmente a pezzi anche la compagine socialdemocratica (mai così in basso, solo nel 1893 scese al 9,3%), che ricorda un po’ la catastrofe del Pasok ellenico, finito a brandelli dopo decenni di governicchi in alternanza con i conservatori che avevano trascinato la Grecia sull’orlo del baratro. Il male oscuro del partito che fu di Willy Brandt e di Helmut Schmidt (ma nel pantheon dei 'padri fondatori' campeggia anche Karl Marx) sta nella progressiva e insieme dolorosa perdita della propria identità, fino all’afasia politica e all’insignificanza degli ultimi due anni.
All’opposto, i Verdi sono passati dall’ecologismo oltranzista e filomarxista degli anni Settanta a un realismo pragmatico capace di attrarre le sensibilità liberali insieme a una visione solidale e aperta della società che ha fatto breccia in molti elettori di ispirazione cristiana, candidandosi a diventare – sempre che il trend continui – un vero e proprio Volkspartei europeo ed europeista, capace di multiformi alleanze e di notevole presa sull’elettorato che non è disposto a indulgenze plenarie nei confronti delle destre e dei populismi. Come ama ripetere la loro leader Katharina Schultze, «non è l’immigrazione la madre di tutti i problemi: il problema sono quelli come Seehofer». Messaggio chiarissimo, recepito appieno da tanti bavaresi.
E arrivato, forse, nel resto d’Europa. Certamente il tourbillon bavarese non sarà indolore, sia sulla tenuta della coalizione di governo sia sulla fiducia che ancora i tedeschi (e la Cdu) ripongono in Angela Merkel: fra due settimane si vota anche in Assia e sarà un voto cruciale per la cancelliera. A vincere tuttavia, lo ripetiamo, è stato il battesimo di quell’anticorpo che fino a ieri sembrava non potesse esistere. Un anticorpo che oggi veste la giubba dei Verdi, ma domani – le elezioni europee sono dietro l’angolo – può incarnarsi in quei partiti, movimenti, sodalizi di tradizione democratica che non sono ancora disposti ad arrendersi. E soprattutto a uscire dall’ambiguità.