Caro direttore,
chi parla di "decrescita" dovrebbe misurarsi con la cruda realtà, che è questa: se la gente non spende, se il denaro "non gira", le fabbriche entrano in sovrapproduzione e licenziano o chiudono. L’economia ha le sue leggi, ferree, matematiche, inumane forse, ma tant’è. Che cosa può fare un operaio, un padre di famiglia, che trova sbarrati i cancelli della sua ditta? Preciso che non parlo pro domo mea. Primo, perché – avendo 72 anni – sono fuori dal sistema produttivo. Secondo, perché sono la persona meno consumatrice che conosco (non già per avarizia o per bizzarro esercizio di virtù, ma perché non ho mai avuto interesse per una quantità di cose; per esempio: vacanze, automobile, parrucchiere, ristorante, abiti, cinema, viaggi...). Se molti avessero la mia limitatezza forse anche mentale, la disoccupazione salirebbe alle stelle e veramente la miseria sarebbe generalizzata.
Olga Zamberletti, Varese
La prospettiva, infatti, anche a mio avviso non può essere quella di de-crescere, ma quella di crescere con modalità diverse e "civili". Lo dico in estrema sintesi: dobbiamo imparare di nuovo a crescere – valorizzando e facendo evolvere esperienze radicate anche nella nostra storia – in maniera socialmente, economicamente e ambientalmente sostenibile. Sostenibile perché fondata sul rispetto della persona umana e sulla cultura del bene comune (che non è una forma di benecomunismo) e non sul primato del mercato o sulla pervasività di uno Stato-padrone.