Troppa grazia in tema di Tobin tax. Dopo le tante esitazioni del nostro governo che non voleva muoversi se non di concerto con tutti gli altri Paesi europei nel giro di appena due giorni abbiamo detto 'sì' alla procedura di cooperazione rafforzata a livello europeo che propone lo 0,1% sulle transazioni sui titoli azionari e obbligazionari e lo 0,01% sui derivati. Dopo di che, non paghi dello sforzo, abbiamo immediatamente varato nel decreto crescita una Tobin tax nazionale dello 0,05% su azioni e derivati (titoli di Stato esclusi) dalla quale si pensa di ricavare un miliardo per finanziare la timida riduzione di imposte sui redditi partorita con la stessa manovra. Nel frattempo l’ira funesta dei mercati sullo spread paventata, in passato, da alcuni titoli di giornali pur autorevoli non si è manifestata, dato che lo spread è sceso sensibilmente.
Tanta audacia ha subito incontrato un fuoco di critiche. Sono tornati in pista i soliti argomenti e interrogativi. La tassa raccoglierà poco. Distruggerà i mercati finanziari. Che cosa faranno gli inglesi? (ma perché chi lo dice non si informa sul fatto che gli inglesi la Tobin tax l’hanno sempre avuta ed è tra le più alte del mondo). La tassa farà fuggire i capitali (lo stesso governo prevede una riduzione del 30% delle transazioni su azioni e dell’80% di quelle su derivati nello scenario dal quale si evince il gettito di un miliardo). Infine la tassa la pagheranno come al solito i risparmiatori (affermazione non così ovvia come si pensa perché per fare transazioni sui mercati finanziari bisogna in genere possedere dei risparmi ma lo si può fare e lo si fa sempre di più prendendo a credito).
Quali transazioni, quali capitali e quali risparmiatori? Si continuano a confondere capre e cavoli: capitali 'pazienti' che finanziano investimenti delle imprese (e restano immobilizzati per i tempi lunghi richiesti da un investimento) e capitali 'supersonici' che comprano e vendono nel giro di pochi minuti o di pochi secondi. Questo secondo tipo di transazioni assai poco utili all’economia reale sono aumentate vertiginosamente negli ultimi tempi. Tra il 2000 e il 2009 i derivati Otc sono aumentati del 642% mentre il Pil è aumentato solo del 26%. Tutte operazioni di copertura del rischio? La riduzione di queste operazioni è proprio uno degli obiettivi della tassa che intende modificare gli incentivi e il rapporto tra redditività del capitale 'paziente' e di quello 'supersonico' a vantaggio del primo.
Tutto questo non vuol dire ovviamente che non dobbiamo ragionare su come costruirla il meglio possibile. Dopo le critiche di questi giorni c’è il sentore che il governo modifichi il provvedimento forse con un’esenzione delle azioni. Quello che è certo è che il provvedimento così com’è presenta numerosi problemi.
Primo, far pagare la tassa solo sui saldi finali giornalieri e non su ciascuna transazione intraday (come sembra trapeli dai dettagli tecnici) vuol dire mancare clamorosamente il bersaglio dei capitali 'supersonici' ovvero del trading ad alta frequenza. La tassa inoltre non può nulla contro il
layering e i
flash trades, ovvero contro le operazioni distorsive di quegli intermediari che postano una quantità enorme di ordini che poi non eseguono per indirizzare il mercato in una determinata direzione. Per contrastare questi specifici fenomeni bisogna imporre di realizzare una percentuale minima di ordini oppure far pagare in proporzione agli ordini. Se è vero come è vero che i derivati di copertura sono fondamentali per gli investimenti, diventa importante costruire meccanismi che discriminino tra esigenze di copertura e derivati 'nudi', ovvero acquistati e venduti per pure finalità speculative da chi non deve assicurare nessuna attività sottostante. Anche se le stesse operazioni di copertura assicurativa possono richiedere periodici aggiustamenti c’è anche qui una differenza fondamentale di frequenza di transazioni. Si può dunque penalizzare di più, o penalizzare solamente le operazioni di acquisto e rivendita che si realizzano in un orizzonte di tempo inferiore ad un limite stabilito. O essere ancora più drastici e proibire l’uso di derivati non di copertura. Infine, se si vuole imporre la tassa in un solo Paese è meglio tassare non per nazionalità dell’intermediario (come nel caso non riuscito della Svezia), ma per nazionalità dell’attività finanziaria, come hanno scelto di fare Francia e Regno Unito, altri due Paesi che hanno deciso di procedere da soli.Se poi si usa il principio della nazionalità dell’attività finanziaria, non avrebbe senso esentare le azioni perché, come accaduto nel Regno Unito, la tassa ha la funzione di spingere i capitali più speculativi su altri mercati riducendo l’instabilità sui titoli nazionali. Siamo adulti e vaccinati e chi vuole divertirsi giocando d’azzardo è – purtroppo – libero di farlo. La situazione ideale verso cui vorremmo andare è, però, che questo 'gioco d’azzardo' non accada con i soldi di risparmiatori inconsapevoli, che li hanno depositati in apparentemente innocue banche commerciali, che le 'scommesse' non avvengano su terreni delicatissimi come quelli dei mercati finanziari e che gli intermediari finanziari ricevano l’incentivo corretto di usare le loro preziose risorse come capitali 'pazienti' (e non capitali 'supersonici'), al servizio dell’economia reale e non per gonfiare una liquidità che è assolutamente sovrabbondante e ha provocato negli ultimi tempi serie turbative al funzionamento dei mercati finanziari.