Il pugno è arrivato diritto allo sterno e ci ha tolto il respiro: a Taranto, nell’area dell’Ilva, si muore molto di più che nel resto della provincia jonica. Per non parlare dell’autentica esplosione dei tumori femminili (incrementi dal 24% al 100%). Non va meglio agli uomini, con un 30% in più. I dati sono ufficiali (periodo 2003/2009), provengono dell’Istituto superiore di sanità e sono avvalorati dallo stesso ministro della Salute, Renato Balduzzi, il quale ipotizza un "Piano straordinario per la salute". Sul banco degli imputati per questa aggressione alla salute pubblica c’è il gigante dell’acciaio, l’Ilva, al centro di una vertiginosa vicenda giudiziaria che ne può limitare l’attività produttiva, proprio a causa del pericolo imminente per la salute degli operai e dei cittadini. Un conflitto che ha visto drammaticamente confrontarsi due diritti altrettanto fondamentali, quello alla salute e quello al lavoro. Un conflitto che qualcuno forse potrebbe immaginare degno di un Paese dell’estremo Oriente, uno di quelli dove i diritti umani sono merce rara e dove il profitto a ogni costo è legge... mentre qui siamo semplicemente nel Sud dell’Italia. E quindi fa male due volte la drammatica conferma che viene dal progetto "Sentieri" che mette in strettissima correlazione l’attività del siderurgico più grande d’Europa con la mortalità dovuta a esposizione ambientale.L’allarme, dunque, è assolutamente legittimo, anzi doveroso. Così come è giustissimo che i riflettori siano puntati su questo lembo di Sud. Riflettori non solo giornalistici e giudiziari, ma anche politici e sindacali. Perché l’opinione pubblica sia meglio informata e ciascuno possa prendere le decisioni più giuste, guidate dal realismo, ma anche dalla consapevolezza dell’intera posta in gioco: salute e lavoro. Dispiace, però, che le cose non vadano sempre così nel grande circo dell’informazione italiana, come nei circoli della giustizia, della politica e del sindacato. Ci sono, purtroppo, allarmi di serie A e allarmi di serie B. Entrambi fondati, entrambi lanciati in tempi non sospetti. Ma i secondi destinati a essere affrontati solo quando i buoi sono già scappati dalle stalle. E magari quando è troppo tardi, forse anche troppo costoso, correre ai ripari. C’è un altro lembo di Sud, altrettanto dolente, su cui i riflettori ancora non vengono puntati. Parliamo della "Terra dei fuochi" di cui quasi solo
Avvenire, purtroppo in solitudine, si occupa con continuità da mesi. Dicendo, anzi gridando, come si può dalle colonne di un giornale, che i roghi appiccati dalla malavita organizzata tra Napoli e Caserta per bruciare i rifiuti tossici sono un delitto contro l’umanità. E anche la "promessa" di nuovi attacchi alla salute dei cittadini, oltre che alla legalità e alla sicurezza. Ci fa persino rabbrividire l’idea che ci possano essere poveri ancora più poveri nel nostro Sud. Forse che Taranto merita i riflettori perché lì c’è uno stabilimento che produce ricchezza non solo per quel territorio ma per l’intero Paese? Mentre in quella striscia di terra campana ci sono solo terre agricole e che vadano pure in malora, con le loro falde acquifere avvelenate e i terreni ormai incoltivabili. E la salute e la vita dei cittadini? A sentire le gelide parole dei camorristi, valgono meno di nulla. Orribile capolinea di una cattiva modernità, in cui Caino continua, indisturbato, ad uccidere Abele. Per un pugno di euro. Taranto e la "Terra dei fuochi" sono le due facce della stessa medaglia. Di un Sud che arranca dietro i propri mali. E che, all’alba del nuovo Millennio, non ha ancora pienamente conquistato né il diritto alla salute né quello al lavoro. Che tristezza! Anche per questo ci rifiutiamo di catalogare gli allarmi in serie A e in serie B: è una questione di uguaglianza dei cittadini, affare non secondario in una democrazia degna di questo nome.