mercoledì 5 ottobre 2016
L'invito a seguire il Signore nelle parrocchie e nelle diocesi viene affidato ai coetanei. (Francesco Ognibene)
La Chiesa "in uscita" affidata ai ragazzi
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C’è modo e modo per proporre le cose: la stessa idea vestita con parole differenti da quel che ci si attende ha molte più chance di essere capita e accolta, e non è solo questione di marketing. Va trovata la strada della ragione e del cuore, e da lì mettere in movimento una risposta umana autentica. Con i giovani, poi, la scelta del 'come' è determinante già solo per ottenerne ascolto, non parliamo del riuscire a farli sentire coinvolti e mobi-litati. 

Lo sa fin troppo bene chi – genitori, insegnanti, educatori, sacerdoti... – cerca di schiudere l’orizzonte di una vita cristiana più convinta, un’adesione non formale, finalmente fatta propria perché nata da un incontro che apre lo sguardo. Cosa fa scattare la serratura e aprire la porta dietro la quale spesso i giovani nascondono l’indecisione sulle scelte che contano? C’è chi sa dov’è la chiave, e trova le parole per farsi intendere: «Oggi Gesù, che è la via, chiama te, te, te a lasciare la tua impronta nella storia ».

Il gesto col quale il Papa accompagnò questa frase durante la veglia al Campus Misericordiae di Cracovia durante l’ultima Gmg – una mano che indica, a chiamare in causa uno per uno i quasi due milioni di giovani che lo ascoltavano in un silenzio assoluto – è una di quelle immagini che, guardando Bergoglio, fanno pensare che quel momento l’abbiamo già visto da qualche parte.

Non era forse nel Vangelo che i discepoli si sentirono indicati così? Tu, tu, tu... Vieni e seguimi. Vieni ed esci, sulla mia parola arriverai fino ai confini della terra, fino a quel tuo amico che ti sta sotto gli occhi ogni giorno, ma è lontano dalla gioia della vita più di un continente remoto. Perché si fa presto a parlare di missione, ma c’è una terra deserta sotto casa che attende di essere irrigata da uno sguardo, una parola, un’ora di attenzione e amicizia che fa fiorire il seme sotterrato e creduto morto. 

I giovani, proprio loro che pensiamo impermeabili e indifferenti, sono quelli che più di noi adulti sanno intendere come la vita trasformata da una scoperta imprevedibile (quella mano che ti indica: proprio io? Così come sono?) diventi seduta stante un’energia da condividere con gli altri. Perché Dio non posso tenerlo solo per me. «Lui, che è la vita, ti invita a lasciare un’impronta che riempia di vita la tua storia e quella di tanti altri – è sempre il Papa che parla in quel dolce tramonto di Cracovia – . Lui, che è la verità, ti invita a lasciare le strade della separazione, della divisione, del non-senso. Ci stai?».

Due milioni di sì lo fecero sorridere, ma non abbastanza per impedirgli di chiederlo di nuovo: tu, ci stai? Il segreto è nel 'tu': ognuno ha sentito il suo nome, chiamato perché ritenuto forse per la prima volta capace di cose grandi, impensabili prima di quell’incontro. «Cosa rispondono adesso – voglio vedere – le tue mani e i tuoi piedi al Signore, che è via, verità e vita? Ci stai? Il Signore benedica i vostri sogni!». Le mani e i piedi: il Papa chiedeva la risposta del fare e dell’andare, il linguaggio di una decisione presa per cambiare la realtà. La missione come l’hanno vissuta generazioni di discepoli è congeniale ai giovani.

Ecco perché crescono parrocchie e diocesi che affidano loro l’invito a scuotersi, cominciando dai coetanei. Se guarda questi giovani missionari, la Chiesa stessa – noi che ne siamo parte – comprende dal vivo cosa significa 'uscire', e tornare a seminare come fosse la prima volta.

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