venerdì 10 gennaio 2014
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Lasciatelo dire a quelli che con la droga hanno avuto uno scontro duro e combattivo, una guerra fatta di rimonte, una passione di estenuata fatica a tirarne fuori per i capelli le vittime ferite, scontando nell’attività terapeutica la previa sconfitta dell’attività educativa. Fatelo dire a loro cos’è la dipendenza, la compulsione, la fatica di uscirne, l’emorragia di vita sciupata.Questo periodico ritorno delle ventate libertarie sullo spinello e sulla cannabis, presentate come sostanze innocue e persino medicali, o il ritornello che chiama "riduzione del danno" la legalizzazione che ne regolerebbe l’uso e l’accesso ad una dispensa controllata invece che al mercato criminale, sono argomenti già vecchi e fiacchi, cento volte confutati. Ma il loro ritorno di fiamma, con un piglio che sembra ora vincente qua e là nel mondo (Uruguay, Colorado…) segnala qualcosa di nuovo: non che sono diventati più forti, ma che la resistenza si sta facendo più debole. Per questo vanno presi sul serio, per la parte di verità che contengono, e per la parte di verità che occultano.Le chiamano droghe leggere. È vero, non sono così pesanti come l’eroina e la coca. Ma che siano innocue o quasi, è falso. I danni al cervello, alcuni permanenti e gravi, sono descritti in numerosi studi internazionali, e illustrati anche in casa nostra sul sito del Dipartimento politiche antidroga cannabis.dronet.org. Ingannare i nostri figli adolescenti che farsi una canna non è niente, è da incoscienti. E forse è anche per questa falsità messa in circolo, che uno su cinque la prova: una statistica impressionante, che segnala un fallimento della funzione educativa del mondo adulto verso l’adolescenza. Ma l’idea di allentare la dissuasione rinunciando alle regole di condotta intese a prevenire il danno e a scongiurare rovine, mi sembra peggio di un fallimento, mi sembra una diserzione.Non dico che a prevenire i disastri si debba confidare nei castighi (anche qui, però, senza mentire: da noi nessuno va in galera per il consumo personale di droga). No, non sono i castighi la risorsa: al contrario, la persuasione ha bisogno di voci amiche, di intelligenza, di empatia; e però anche di chiarezza, di fermezza, di responsabilità. Dove la droga seduce e incatena alla dipendenza, la passione educativa forgia il carattere e libera. Ma manca a troppi adulti, fra noi, l’idea che la vita di ognuno si intreccia a quella degli altri in legame sociale, e che dire "è mia" (la salute, la vita) non equivale a farne ciò che voglio, rovinandola, ma ciò che è giusto per me e per gli altri. E com’è difficile far entrare in testa questo concetto solidale di autoprotezione, in un Paese dove per far allacciare le cinture in auto si devono minacciare i punti della patente.È questa la differenza dal protezionismo: è la libertà positivamente orientata alla vita; l’opposto della corsa a imbrancarsi – lo fanno tutti – che è messaggio disfattista, bandiera bianca di una resa fallimentare.Chi pensa di risolvere il dramma delle droghe arrendendosi al fatto compiuto, dicendo che se si cambia la legge non c’è più la trasgressione, cancella il male dal vocabolario, ma non dalla vita. La droga resta male e resta nella vita. La droga è dannosa non perché illegale, ma è illegale (in tutto il mondo, tranne ora qualche scucitura) perché è dannosa. Si può modulare in forme diverse la dissuasione, la prevenzione, la repressione: ma non si può invogliare e facilitare lo scivolo dentro l’imbuto di una sventura omologata dalla legge.
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