È un valore la mediazione? Certamente sì. È un valore cristiano? Se siamo convinti che è un valore, dobbiamo anche convincerci che è anche indubbiamente un valore cristiano, perché il cristianesimo riassume tutto l’insieme dei valori umani, cioè di quei valori che orientano l’esistenza dell’uomo e la fanno crescere, indipendentemente dalla loro stretta valenza confessionale.Possiamo a questo punto arrivare a dire, come fa il senatore Franco Monaco con argomentazioni lucide e suggestive, che «la mediazione è una virtù e persino un dovere morale e cristiano»? In un certo senso sì (ma solo in un certo senso), perché, se è assolutamente vero, come egli osserva, che l’esistenza umana è tutta calata nella contingenza ed è costantemente chiamata a elaborare micro e macro-mediazioni, è anche assolutamente vero che la mediazione non è un valore assoluto, ma un valore strumentale.Essa ci aiuta a difendere nel modo ottimale valori (relativi o assoluti che siano) che corrono il rischio, nella vita socio-politica, di essere stravolti e offesi, ove venissero perseguiti senza prestare attenzione alla concretezza delle situazioni; ma, come tutti gli strumenti, può anche essere utilizzata in modo errato. Perciò è indispensabile che chiunque si prefigga di mediare tra valori abbia ben presente che qualsiasi mediazione, per meritare il nostro rispetto, va posta in essere secondo giustizia: da essa deve emergere sempre il primato del bene e soprattutto per suo tramite non deve prodursi o peggio ancora stabilizzarsi (per dir così) il male, in nessuna delle sue dimensioni.Le dure parole di Paolo nella
Lettera ai Romani (3,8) contro chi, nel nome di malintese mediazioni, esorta a fare il male, per realizzare il bene, esprimono in modo insuperabile e
ante litteram la condanna di ogni machiavellismo e della sua cinica pretesa di risolvere qualsiasi problema, utilizzando, sia pur con le migliori intenzioni, mezzi malvagi o comunque immorali. Quanto detto non comporta che i difensori dei cosiddetti «princìpi non negoziabili» debbano presentarli attraverso formulazioni astratte e dogmatiche e applicarli alla realtà in modo meccanico e ottuso: in quanto "princìpi" e non "norme" essi vanno sapientemente interpretati e attualizzati nel loro contesto storico-politico e in tal senso, ma solo in tal senso, possono conoscere "mediazioni". Purché resti ben fermo che non si può trattare di mediazioni che ne stravolgano il senso. I no alla schiavitù, alla diseguaglianza tra uomini e donne, alla tortura, all’aborto, alla negazione della libertà di educazione e di pensiero non possono conoscere mediazioni.Possono e devono invece conoscere mediazioni (nel senso sopra indicato) tutte le modalità di concretizzazione normativa di questi "no", in specie quando radicati in pratiche storico-culturali orientate sinceramente al bene umano, anche se in forma parziale, confusa e contraddittoria. È con questa difficoltà che devono confrontarsi i politici e i legislatori: una difficoltà talmente alta e talmente nobile, che Dante non esita a individuare in Paradiso un cielo esclusivamente riservato a coloro che nel corso della loro vita terrena fossero riusciti a coniugare la politica e la legislazione con la giustizia.