L’intervento del presidente Mattarella sugli ormai famosi “manganelli di Pisa” ha suscitato un coro di apprezzamenti, qualche distinguo e alcuni silenzi. Sono parole su cui riflettere ancora, al di là di incomprensioni e polemiche. Nessuna critica generalizzata – dal Colle è sempre venuto un sostegno convinto alle forze dell’ordine, che si è espresso anche in questi giorni riguardo alla vicenda di Torino – ma un giudizio tempestivo su un episodio circoscritto, di cui ovviamente sono responsabili solo alcuni. Si ricorre alla forza solo quando è assolutamente necessaria e invece questa volta la si è usata in modo sproporzionato. Ciò fa perdere autorevolezza, ha osservato Mattarella, preoccupato che lo sbaglio di pochi danneggi tutte le forze dell’ordine.
Di particolare rilievo, inoltre, che il Presidente sia sceso in profondità parlando di fallimento. Se una società usa la forza per fermare un gruppo di giovanissimi, vuol dire che ha fallito su un terreno cruciale, il rapporto con le nuove generazioni: è un problema che ci riguarda tutti.
Le forze politiche avrebbero dovuto confrontarsi con questo fallimento, fare autocritica sulle proprie responsabilità, cercare soluzioni valide. Vera autorità è quella che fa crescere gli altri e la politica non deve compiere scelte che finiscono per alimentare derive radicali nei giovani, ragionando con loro sulla complessità storica della vicenda medio-orientale, sulle terribili sofferenze patite da tutte le parti, sull’inutilità della violenza cieca per risolvere i conflitti. Contrastando, insomma, la confusione in cui è stata persino coinvolta Liliana Segre di cui sono note le accorate parole sui bambini palestinesi (è importante che tra i ragazzi di Pisa ci siano state voci di esplicita condanna dell’antisemitismo).
on averlo fatto è stato un primo errore. Secondo errore: dividersi tra chi prende le distanze delle forze di polizia senza riconoscere l’importanza e le difficoltà del loro compito e chi manifesta verso di esse un sostegno di parte, strumentale e interessato. Sono entrambe scelte sbagliate e pericolose, nessuna delle due aiuta davvero le forze dell’ordine. Infine, ma non per ultimo: le forze dell’ordine sono state lasciate sole su ciò che più conta e cioè un’indicazione bipartisan – o, meglio, multipartisan – dei criteri giusti per riuscire, nelle situazioni concrete, a bilanciare sicurezza collettiva e libertà individuale.
È una questione cruciale che tocca i fondamenti stessi della convivenza civile stabiliti dalla Costituzione. È normale che ci siano sensibilità diverse, con chi avverte di più l’urgenza di difendere la libertà e chi invece di garantire sicurezza. Guai però se una delle due si impone escludendo l’altra. La Costituzione indica una direzione chiara: premesso che in uno Stato liberal-democratico l’esigenza della sicurezza collettiva trova un limite insuperabile nella tutela del diritto di manifestare liberamente la propria opinione, va cercato un bilanciamento tra le due. Farlo non può essere monopolio di chi, di volta in volta, è al governo, altrimenti è inevitabile uno sbilanciamento in un senso o nell’altro. Al contrario, spetta anzitutto a chi governa cercare la collaborazione di tutte le forze politiche per individuare insieme una sintesi che unisca le diverse sensibilità. In altre parole: la politica deve convergere nell’indicare alle forze dell’ordine criteri di azione che assicurino il massimo di libertà e il massimo di sicurezza. Il Parlamento è la sede naturale per farlo, ma è possibile anche altrove. È la strada indicata dal Presidente Mattarella che, anche in queste circostanze, si è confermato un limpido custode della Costituzione e un testimone efficace della vitalità della Carta.
Il fastidio che a volte si avverte per le sue parole è indice di un fastidio più profondo verso la stessa Costituzione. Non solo in Italia, oggi la politica ordinaria tende pericolosamente a sconfinare su un terreno che non è di sua competenza: quello costituzionale. Naturalmente, è lecito proporre la revisione di questa o di quella norma. Ma a volte si innesta un allontanamento di fatto dalla lettera e dallo spirito della Costituzione, verso un ribellismo fine a sé stesso, un autoritarismo senza autorevolezza o in altre direzioni sbagliate. Il populismo spinge verso un ribaltamento di ruoli: invece di lasciarsi guidare dalla Costituzione, la politica ordinaria pretende di interpretare il potere costituente del popolo (di fatto per imporre la volontà di una parte). Ci si allontana così dall’impostazione solidamente democratica della Costituzione italiana, frutto della convergenza tra forze molto diverse. Ma Costituzione vuol dire casa comune e allontanarsi dalla prima significa indebolire la seconda. Non è nell’interesse di nessuno.
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